Piccoli artigiani e coltivatori diretti: “Si salvino marchio e autonomia giuridica della Banca del Monte di Lucca”

19 agosto 2022 | 12:56
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Piccoli artigiani e coltivatori diretti: “Si salvino marchio e autonomia giuridica della Banca del Monte di Lucca”

L’associazione chiede l’impegno di sindaco e presidente della Provincia, attraverso le fondazioni, per evitare la scomparsa dell’istituto

“No alla fusione della Banca del Monte di Lucca: occorre mantenere marchio ed autonomia giuridica in un rapporto federativo con Bper”. A dirlo è l’associazione piccoli artigiani e coltivatori diretti.

“Il territorio lucchese naviga da parecchio tempo senza strategie – si legge nella nota – senza attenzione al futuro del suo tessuto sociale ed economico e senza memoria del suo importante passato. Nel frattempo abbiamo assistito al progressivo depauperamento di una secolare e tradizionale attività che ha fatto crescere Lucca nei secoli: quella bancaria. Con leggerezza e miopia è stata ceduta la Cassa di Risparmio, una delle più importanti e “ricche” della Toscana alla Banca Popolare di Lodi, oggi inglobata nel Banco Popolare. Quasi contemporaneamente è stato ceduto il controllo della storica Banca del Monte (del 1489) alla Cassa di Risparmio di Genova (Carige), oggi passata nelle mani del gruppo Bper (Banca Popolare della Emilia Romagna), con sede a Modena, a sua volta controllata dal colosso delle assicurazioni Unipol. Tutto questo dopo 10 anni terribili per Carige, con diversi aumenti di capitale, crolli in borsa e perdite miliardarie, a carico anche degli azionisti lucchesi, come privati e fondazioni. Queste vendite hanno origine nel percorso di riforma del sistema bancario italiano iniziato negli anni Novanta. La legge Amato ha permesso infatti alle casse di risparmio di trasformarsi da una parte in società per azioni e dall’altra di rafforzare il ruolo non bancario delle fondazioni a cui sono state trasferite tutte quelle attività non tipiche dell’impresa, assumendo nel tempo un notevole rilievo, specialmente per le attività culturali e sociali dei territori. Ma il sistema bancario nel suo complesso si è indebolito. A fronte di due/tre grandi gruppi (esempio Intesa) capaci di muoversi sui mercati internazionali, abbiamo fatto sparire centinaia di Istituti. Oltretutto, se da un lato si è voluto togliere dalle “mani” della politica il controllo diretto sul settore, dall’altro abbiamo consegnato quest’ultimo alla finanza più speculativa, riconoscendo la possibilità di operare contemporaneamente come imprese commerciali e di investimento, possibilità precedentemente vietata dalla “illuminata” legge bancaria del 1936”.

“Con il protagonismo dei “soliti” manager super pagati (privilegiati e impuniti) che fanno il “buco” (come nel caso di Carige), trasferendosi subito dopo in un altro gruppo bancario, secondo un circuito vizioso e totalmente inefficiente – prosegue la nota – Così la grande crisi finanziaria internazionale del 2007-2013 ha fatto barcollare l’intero sistema, con decine di miliardi di perdite (esempio Mps, banche venete eccetera). Ecco perché il bilancio della riforma Amato vede più ombre che luci. La corsa alla aggregazione, motivata dalla concorrenza internazionale, dagli indici di bilancio Bce, dalle economie di scala, dai costi della innovazione ed altro, sta presentando il conto: i territori hanno perso e continuano a perdere servizi fondamentali come quello bancario. Mentre in Germania esiste ancora la rete delle casse di risparmio (Sparkasse), qui abbiamo voluto cancellare secoli di esperienze, contatti, presenze. Ma la storia economica insegna che la tendenza al piccolo o al grande muta nel tempo e, quasi sempre, si ripete ciclicamente. Disfarsi totalmente di un marchio e di una territorialità può essere molto pericoloso, sbagliato proprio dal lato puramente economico. Una luce che si spenge difficilmente, ci fosse il bisogno, si riaccenderà”.

La Banca del Monte di Lucca ha circa 600 anni – proseguono i coltivatori diretti – già uno dei primi Monti di pietà della Toscana. Sotto silenzio è stato venduto proprio lo storico segmento pegno, il “cuore” del Monte di pietà. Un servizio sociale che ha permesso alle famiglie, per secoli, di non disfarsi dei beni di famiglia pagando semplicemente un tasso di interesse. Ora sarebbe vicina la fusione della intera Banca del Monte nel gruppo Bper. È ancora la storia economica a ricordarci come “ogni sviluppo economico locale abbia bisogno di una banca locale”. In più, la corsa alle aggregazioni contraddice tutta la letteratura della “buona concorrenza”, creando pochi Monopoli di fatto, con evidenti rischi nel lungo periodo per i costi, per la qualità del servizio e per l’indipendenza delle categorie stesse. È in atto infatti un processo di “desertificazione” bancaria, con migliaia di paesi che non hanno più uno sportello bancario, costringendo specialmente gli anziani a spostamenti importanti o all’uso del digital banking per molti ancora difficile. In realtà un disservizio, che si unisce all’indebolimento dei servizi sanitari territoriali, dei servizi scolastici, dei punti commerciali, dei servizi di trasporto pubblico, rendendo la vita ed il futuro delle periferie e dei paesi di collina sempre più difficile. A questo punto, tutto è in mano ai soci di minoranza della banca, cioè le fondazioni lucchesi. Queste gestiscono un patrimonio che proviene dal territorio e si è creato nel territorio. E con il territorio dovrebbero raccordarsi, almeno sulle decisioni straordinarie (e la vendita è l’operazione più straordinaria di tutte). Oltretutto le fondazioni hanno in mano il futuro della Banca del Monte, dato che lo statuto della stessa banca impedirebbe di fatto la fusione senza un accordo tra i soci”.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di garantire la sopravvivenza e la continuità del marchio lucchese, anche investendo risorse della città per un eventuale aumento di capitale – conclude la nota – Questa è la via maestra, l’unica razionale e aperta agli scenari futuri. Oltretutto i dati economici sono confortanti per la banca lucchese. La trimestrale 2022 ha visto un utile di oltre 600mila euro, un Rapporto Npl/impieghi al 3% in linea con i migliori benchmark, e in prospettiva un bilancio pulito, con assenza quasi totale di Npl (crediti deteriorati). Chi dice che il percorso delle fusioni è un percorso obbligato, necessario, ineluttabile, mente. O ignora, che è peggio. La città, il suo sindaco, il suo presidente della Provincia, devono quindi, attraverso proprio le fondazioni lucchesi, lavorare perché, pur accettando la logica della collaborazione con un gruppo bancario più grande, articolato, come il gruppo Bper, che può apportare maggiori investimenti su digitalizzazione e procedure informatiche, si possa mantenere, secondo una logica federativa, marchio ed autonomia giuridica. Questo per il presente dei suoi dipendenti, ma soprattutto per il futuro della città. Diamo pure una chiave per entrare ma non spalanchiamo le porte”.