Sentenza Berlusconi, il volontariato non è una condanna

20 aprile 2014 | 07:30
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Sentenza Berlusconi, il volontariato non è una condanna

Per quattro giorni, in un Festival ad hoc di rilevanza nazionale e di respiro internazionale, è stato ribadito che il volontariato è il volto bello dell’Italia, una ricchezza per chi lo fa e per chi lo riceve, per l’individuo e per la società. E’ stato presentato un manifesto che cerca di metter nero su bianco la sua essenza, richiamando concetti come responsabilità, bene, dono. Ad affermarlo sono stati economisti, sociologi, intellettuali, politici, ministri ed eurodeputati, addirittura il presidente del Consiglio.
A pochi giorni di distanza da quell’evento è arrivato il pronunciamento finale sul futuro giudiziario di Berlusconi. Numerose testate parlano di una “condanna al volontariato”. Sembra evidente che qualcosa non torni. La speranza è che si tratti di un errore, che il problema si limiti all’uso della lingua, all’ignoranza del significato di alcuni termini (anche se è piuttosto grave che chi si occupa di comunicazione commetta errori tanto gravi: non si discute infatti di sfumature di senso, ma dell’oggettività della denotazione). La preoccupazione (e purtroppo l’impressione più forte) è che si tratti invece di una questione di sostanza.

Lo dice la parola stessa. “Volontariato” è qualcosa che viene compiuto da un individuo, singolarmente o in gruppo, in maniera volontaria. Ciò significa senza nessun obbligo che provenga dall’esterno, non per fini di lucro, ma per una personale volontà di donare tempo, competenze, conoscenze ed energie alla comunità. Stride dunque l’accostamento di questo termine a quello di “condanna”, che rimanda al contrario all’idea di costrizione inderogabile e inevitabile per chi la riceve. Che si tratti forse di un ossimoro? Della ricerca di un particolare effetto stilistico? Il contesto di riferimento spinge a scartare questa ipotesi. Purtroppo la destinazione di una simile espressione non era un’antologia poetica, ma le pagine – cartacee o web che siano – di quotidiani nazionali.
Dal piano etimologico a quello etico il passo è breve. Migliaia di italiani fanno volontariato. Ciò che li spinge non è una sentenza. Non sono volontari perché hanno frodato lo stato. Per loro il volontariato non è l’alternativa agli arresti domiciliari. Lo fanno perché credono che essere cittadini responsabili, ma prima ancora uomini e donne nel senso più alto del termine, significhi prendersi cura della comunità in cui si vive. A guidarli è solo la loro libera volontà, incondizionata sia da presunte convenienze sia da possibili punizioni. Ed è proprio questa gratuità a rendere così prezioso il loro operato.
Un appello, quindi, a tutti coloro che usano la lingua, il primo bene comune di cui disponiamo. Le parole sono importanti. Chiediamo soprattutto a chi le maneggia per lavoro di impiegarle bene, nel rispetto di chi ogni giorno le riempie di significato, traducendole in gesti concreti.

Laura Gianni