Scuole per l’infanzia, il coordinatore pedagogico: “Impossibile garantire il servizio con le norme attuali”

La riflessione di Enea Nottoli in vista della ripresa: “
Il problema della riapertura delle scuole per l’infanzia tiene banco già da alcuni giorni e vede in contrapposizione il ruolo degli educatori, che vorrebbero operare in tutta sicurezza tutelando il lavoro pedagogico che in questi anni stanno svolgendo e quello dei genitori che hanno bisogno di poter avere il tempo di dedicarsi al lavoro per far ripartire il settore economico. La politica, soprattutto tra gli amministratori comunali, stanno tentando. Ma al tavolo di discussione per ora mancano gli operatori del settore, fino ad adesso esclusi dal confronto.
A parlare del tema è Enea Nottoli professore di lettere all’istituto comprensivo di Lammari Ilio Micheloni e coordinatore pedagogico per i nidi di Carrara per la cooperativa Orsa, si occupa di servizi per l’infanzia, gestisce sessanta educatrici per quattro asili nido per bambini da 0 a 3 anni.
“In questa fase si parla distanziamento sociale come unico metodo efficace e imprescindibile per contrastare la propagazione del virus. Purtroppo quando ci riferiamo a servizi di asili nido da 0 a 3 anni è improbabile prendere in considerazione la cosa. In quel caso vi sono tutta una serie di caratteristiche pedagogiche che vengono a mancare – precisa Enea Nottoli – Quello che noi facciamo nel nostro lavoro è di prenderci cura del bambino, ma non si può fare con il distanziamento sociale: tenere i bambini a distanza e contemporaneamente farlo noi è impossibile. Il bambino di qualsiasi età quello che cerca è il contatto, è impensabile non permettergli di giocare gli uni con gli altri perché è la base del servizio pedagogico”.
“Il rischio è quello di fare ciò che si chiama ‘pedagogia nera‘ – prosegue Nottoli – ovvero una pedagogia fatta di restrizioni e comandi relegando un educatore a comportarsi come un guardiano, che non è assolutamente il suo ruolo e si rischia di tornare indietro di trent’anni rispetto alle conquiste ottenute fino ad oggi nel nostro campo. Qualcuno ha addirittura parlato di mettere dei recinti, creare una bolla all’interno del quale un educatore si occupa di due o tre bambini massimo, che rimane fisso e non può avere contatti con i bambini o con altri colleghi. Si dice inoltre che i bambini che hanno raffreddore e tosse non possono essere ammessi al servizio, ma chi conosce bene questo mondo come me, sa benissimo che molti di loro sviluppano molto spesso questi sintomi. Il nostro ruolo rischia di diventare quello di babysitter e parcheggiatori, svilendo completamente la nostra professione”.
L’aspetto fino ad oggi trascurato dalla politica, secondo Nottoli, è la situazione in cui si trova l’educatore. Non ci sarebbe stato coinvolgimento degli operatori del settore e mancherebbe un confronto: troppa distanza di vedute, insomma, tra i lavoratori e chi amministra.
“Un altro aspetto che è stato sottovalutato – dice ancora Nottoli – è il modo in cui reagirà il personale operativo. Si tratta di un lavoro prettamente femminile, le educatrici di nido sono quasi tutte donne, madri e figlie, come reagiranno ad essere prese e reinserite così d’improvviso, con un nuovo modo di lavorare e con delle condizioni del tutto differenti rispetto a prima? In questo periodo sono state abbandonate a loro stesse, si sono trovate a casa con un fisso che ammonta alla metà del normale stipendio, non c’è stata alcuna discussione politica su di loro, nemmeno da parte delle amministrazioni”.
“Si è sempre sentito parlare – prosegue Nottoli – di diritti e necessità delle famiglie e mai delle educatrici e di chi lavora a stretto contatto con i bambini. Nessuno insomma si è chiesto se queste persone sono adesso in grado di ripartire e di poter rimettere la testa in un lavoro dal quale sono state strappate in maniera drastica dal 4 di marzo. Il mondo dell’educazione deve essere sentito in questo momento, bisogna dare voce alle operatrici che lavorano nel campo, la politica deve distaccarsi dagli slogan populisti che si sono sentiti in questi giorni. ‘Dobbiamo ripartire perché l’economia ce lo sta dicendo’, sento dire, riapriamo i servizi perché l’economia deve ripartire e c’è bisogno di parcheggiare i figli, è questo il senso della frase. Ma noi non siamo un’agenzia di babysitteraggio, abbiamo un ruolo ben diverso”.
La distanza tra i due punti di vista, sempre per Nottoli, sarebbe ben evidenziato da alcune frasi pronunciate da politici locali che dovrebbero tutelare il ruolo pedagogico degli operatori ma che pensano esclusivamente alla ripartenza del settore. “Mi permetto inoltre di aggiungere un’altra cosa – sottolinea Enea Nottoli – ho letto un’espressione che mi ha fatto molto male da un punto di vista dell’educazione, pronunciata da un’assessora della giunta in un post su Facebook, ‘tutti bisogna far pressione per far sì che i servizi ripartano’, scrive. La parola pressione non è concepibile per noi educatori, la trovo un’espressione veramente infausta, bisogna far pressione a finché i diritti dei lavoratori siano garantiti piuttosto. Se siamo arrivati alla pressione vuol dire che c’è qualcosa che non va, ci diano delle idee concrete ci dicano come vogliono fare. Io credo che in questo momento bisogna ragionare per una ripartenza a settembre, non rischiare un falsa partenza a metà giugno. L’inadeguatezza di alcune scuole, specialmente quelle che si trovano nel territorio del comune di Lucca è evidente”.
“Per prima cosa – dice – va sottolineato il fatto che ci mancano le strutture, mancano gli spazi esterni, non ci sono giardini nelle scuole di Lucca, ci sono dei servizi dell’infanzia che le hanno, questo è vero, penso alle strutture di san Vito e san Marco, ma sono delle eccezioni. Se piove? Se è caldo e fuori ci sono temperature che si aggirano sui 40 gradi? Quest’anno era stato deciso di far chiudere gli asili nel mese di luglio proprio a causa delle alte temperature. Le strutture mancano di aria condizionata al loro interno ci sono temperature troppo alte per accogliere i bambini, ad oggi si parla invece di riaperture”.
“Esiste il bonus babysitter – continua – in questo momento è meglio che un’educatrice svolga un tipo di lavoro del genere in maniera individualizzata”.
“I genitori hanno bisogno di andare a lavorare, ma noi quante ore di servizio possiamo garantire per tenere i loro bambini? Due, tre? Li facciamo arrivare scaglionati? Ma il genitore il cui figlio entra alle nove e mezzo, come la risolve la situazione, come fa ad accompagnarlo a scuola? Sono solo alcune domande di cui noi non abbiamo risposta, occorre un tavolo di discussione con gli educatori che sono loro che in primo piano e conoscono bene il lavoro che svolgono. Abbiamo bisogno delle risposte – conclude Nototli – ci devono dire come ripartire, metterci in condizione di farlo, con delle strutture adeguate e dei controlli per poterci permettere di lavorare in sicurezza, tutelando il nostro ruolo pedagogico. Si può pontificare quanto si vuole ma occorre un dialogo e un contatto continuo con la politica amministrativa”.