Scuola, la pandemia lascia il segno: “Per i bambini il rischio è perdere l’aspetto di crescita relazionale e maturazione psicologica”

3 gennaio 2021 | 09:43
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Scuola, la pandemia lascia il segno: “Per i bambini il rischio è perdere l’aspetto di crescita relazionale e maturazione psicologica”

I dubbi di un’insegnante sulla didattica a distanza: “Per i più piccoli è fondamentale la relazione empatica più che la trasmissione di contenuti attraverso un pc”

Covid e bambini. Quanto ha inciso la pandemia sulla loro salute mentale? Quali conseguenze avrà sulla futura “generazione Covid”? Con quali ferite, se ci saranno, dovrà convivere?

C’è infatti un momento nella vita in cui viviamo ogni cosa più intensamente. È l’infanzia, l’età della scoperta del mondo, delle prime relazioni fuori dalla famiglia, delle piccole vittorie vissute come successi. O dei primi fallimenti, che per quanto minuscoli, fanno male. Figurarsi eventi di grande portata, come la pandemia: con quali occhi l’hanno vissuta i più piccoli? Che futuri ragazzi e adulti saranno? Domande cui solo il tempo potrà rispondere. Ma c’è chi oltre ai genitori, qualche anticipazione ce la può dare: sono gli insegnanti della scuola primaria, che salutano un 2020 scolastico molto complicato. Fra mascherine e distanziamento, quarantene e paura, i maestri hanno continuato a varcare le soglie delle scuole, consapevoli di svolgere una “missione sociale”. A raccontarcelo è Laura (nome di fantasia), maestra elementare di Lucca. “Oggi la scuola è diversa rispetto a quando ero giovane: ho affrontato tante sfide, aggiornandomi continuamente. Ma la più grande è stata sicuramente la pandemia”.

Diplomata magistrale con specializzazione nel sostegno, dopo aver vinto il concorso magistrale Laura inizia a svolgere supplenze, entrando di ruolo 23enne: 33 anni di esperienza nel mondo scolastico lucchese. “Un mondo molto cambiato da allora. Ci sono sempre più stranieri, e ne derivano difficoltà legate alla lingua. Difficoltà ma anche e soprattutto fattori positivi – sottolinea – perché i bambini si abituano a vivere le diversità reciproche e a condividerle. È una situazione molto educativa, che getta le basi del rispetto e dell’inclusione, due qualità da assimilare fin da piccoli per formare adulti capaci di vivere nel mondo di oggi: un mondo multiculturale”.

Specchio di una realtà in continua trasformazione, la scuola italiana riflette una società sempre più multietnica. A documentarlo è l’Istat, che registrava nel primo gennaio 2020, esattamente un anno fa, il nuovo record storico di 5 milioni e 382 mila stranieri residenti in Italia: l’8,9% del totale. Un numero con tutta probabilità superato: “La scuola è un microcosmo sociale. Alle elementari s’impara a vivere in uno spaccato più ampio della famiglia, che anticipa la vita futura: perciò noi maestri ricopriamo un ruolo fondamentale. Più che un lavoro – continua Laura – si tratta di una vera e propria missione: educare alla differenza, al dialogo, alla convivenza anche con situazioni difficili, fra cui bambini con difficoltà certificate, psichiche e di apprendimento. Di conseguenza, per favorire l’integrazione c’è più bisogno degli insegnanti di sostegno”.

Un sostegno nell’apprendimento e nello studio, ma anche rispetto alle dinamiche socio-relazionali contro l’emergere di episodi come bullismo e il cyberbullismo. “Reputo infatti sempre più importante la figura dello psicologo nelle scuole, una presenza sicuramente da potenziare. Spesso minori che presi singolarmente non manifestano criticità, diventano problematici nel gruppo classe, incapaci di relazionarsi correttamente fra loro – spiega la maestra – Per questo, durante la prima quarantena è stato fondamentale continuare a mantenere un contatto con gli alunni, nonostante la distanza, attraverso la didattica al pc: un’occasione anche per noi insegnanti di migliorare il nostro rapporto con i mezzi elettronici e internet”.

Si chiama Dad, didattica a distanza: uno strumento che se da un lato ha permesso di non interrompere l’anno scolastico a marzo, continua ad alimentare numerose polemiche sulla sua efficacia. “Non è scuola, e non è la soluzione: accentua le disparità socio-economiche e culturali, perché con una connessione inadeguata o inadeguati mezzi si parte svantaggiati rispetto agli altri. Parlo di chi per esempio, aveva solo un cellulare per seguire le lezioni, o famiglie con un unico pc in cui gli stessi genitori dovevano lavorare: senza contare che alcuni bambini non si sono mai collegati. La presenza e la collaborazione della famiglia è necessaria, per la didattica a distanza: noi – afferma Laura – abbiamo lottato contro mille difficoltà per evitare il male peggiore: la dispersione scolastica”.

Specialmente alle elementari, poi, la scuola non è teoria ma pratica – continua – cosa che la Dad non può fare. Durante la fascia d’età elementare, l’istruzione si realizza nel rapporto vero con insegnanti, compagni e tutta la comunità, ovvero nella relazione empatica più che nella trasmissione di contenuti attraverso un pc. Per questo sono contenta di aver iniziato l’anno scolastico 2020-2021 in presenza”.

Fra polemiche e mille difficoltà, a partire dal 15 settembre i bambini dai 6 ai 11 anni di tutta Italia sono tornati fra i banchi di scuola. Tanto l’entusiasmo nel rivedere i compagni e i maestri, ma qualcuno a scuola non c’è mai tornato. “Erano contentissimi. Mancava il rapporto con i compagni, lo stare tutti insieme e condividere le attività. Gli alunni hanno sofferto molto l’interruzione brusca delle lezioni e l’isolamento forzato nelle proprie case: cosa che purtroppo si è riproposta nella mia scuola con il caso di una classe in quarantena. Senza contare che la paura del Covid ha spinto alcuni genitori a non mandare i figli a scuola. È un fatto grave – conclude Laura – su cui noi insegnanti possiamo intervenire fino a un certo punto: i bambini si perdono tutto l’aspetto di crescita relazionale e maturazione psicologica a causa del clima di paura che si respira in alcune famiglie. Un clima comprensibilissimo, tuttavia dubito che questo non lascerà segni nella loro persona adulta”.