
Nonostante il termine autismo sia stato usato per la prima volta agli inizi del XX secolo, in anni recenti la conoscenza di questa patologia e le prospettive di ricerca per il suo trattamento hanno compiuto importanti passi avanti.
La diagnosi di autismo si basa tuttora su fattori comportamentali, che si ritengono causati da deficit dello sviluppo neuronale e che determinano una sindrome che esordisce già nella prima infanzia. Tipicamente, le aree coinvolte riguardano le capacità di relazione sociale, di comprendere e comunicare efficacemente idee e sentimenti. Di conseguenza, negli autistici si osservano spesso, tra gli altri sintomi, difficoltà di apprendimento, disturbi del sonno, problemi di memoria e di espressione verbale, alterazioni dell’umore e comportamenti rituali o stereotipati.
L’autismo è inoltre associato anche a problemi di natura fisiologica, relativi alle funzioni metaboliche, immunitarie e digestive.
Data la difficoltà di individuare con chiarezza la precisa eziologia di una gamma di sintomi molto ampia e variabile, oltre all’autismo classico si tende oggi a parlare anche di disturbi dello spettro autistico (DSA) che comprendono, in particolare, la sindrome di Asperger e la sindrome di Rett.
I sintomi delle varie sindromi dello spettro dell’autismo sono molto eterogenei, ma la loro origine genetica è ormai chiara, anche se altrettanto diversificata per quanto riguarda il numero delle alterazioni che ne sono responsabili.
L’approccio convenzionale a questa patologia è fondato essenzialmente su terapie riabilitative, che si concentrano su aspetti cognitivo-comportamentali e fonetico-verbali, in cui è centrale l’intervento del logopedista e a cui, in alcuni casi, si affiancano terapie farmacologiche volte all’attenuazione di sintomi specifici che però non sono esenti da effetti secondari.
Tra le terapie comportamentali affermatesi di recente, il metodo ABA (sigla di Applied Behaviour Analysis, ovvero analisi applicata del comportamento), prevede il coinvolgimento attivo dei genitori in sessioni di trattamento intensivo (20/25 ore alla settimana per tutto l’anno), che vengono svolte nei contesti di vita del bambino, compresi la scuola e la famiglia.
Novità su autismo e cellule staminali
Ricerche all’avanguardia hanno consentito di stabilire una chiara correlazione tra l’insorgere dell’autismo e la compromissione delle cellule presenti in determinate aree del cervello, deputate a compiti connessi, appunto, con la parola, la concentrazione e l’attenzione.
D’altro canto, i successi già ottenuti dalla medicina con l’impiego di cellule staminali in vari campi, hanno incoraggiato la ricerca in relazione all’impiego delle cellule staminali per l’autismo.
Una ricerca recente ha messo in evidenza il diverso sviluppo delle cellule staminali della corteccia cerebrale di soggetti con disturbo dello spettro autistico rispetto ai soggetti che non ne sono affetti.
Il trattamento con cellule staminali per l’autismo si basa quindi su un approccio completamente nuovo a questa classe di disturbi, basato sulla possibilità di “recuperare” il deficit di sviluppo riscontrato nei primi anni successivi alla nascita grazie alla capacità di queste particolari cellule di indurre il corretto funzionamento dei sistemi dell’organismo, cervello e sistema nervoso centrale compresi.
Dal punto di vista terapeutico, il nesso tra autismo e cellule staminali consiste nella possibilità di favorire nell’organismo del bambino il ripristino delle cellule danneggiate, che hanno impedito il naturale sviluppo delle aree cerebrali.
Il ruolo delle cellule staminali è in qualche misura coinvolto anche nell’ipotesi di impiego di un farmaco già utilizzato in funzione antitumorale, che ha la capacità di contrastare le alterazioni genetiche riconducibili a tutti i disturbi dello spettro autistico. I risultati di questo studio, cui hanno partecipato anche alcuni ricercatori italiani, sono stati ottenuti per mezzo di una tecnologia d’avanguardia che prevede lo screening dei neuroni della corteccia cerebrale derivati dalle cellule staminali riprogrammate dai pazienti, detti “avatar” della malattia, che hanno la caratteristica di contenere la stessa alterazione genetica dei pazienti. Gli avatar sono ottenuti riconducendo alcune cellule dell’epidermide dei pazienti allo stato di staminalità, che consente loro l’evoluzione in qualunque tipo di cellula. In questo modo è stato possibile riprodurre fedelmente le alterazioni genetiche dei pazienti, allo scopo di condurre la ricerca in laboratorio. L’obiettivo della terapia clinica che potrebbe nascerne, nel medio-lungo termine, è la regressione, almeno parziale, dei sintomi dell’autismo.
Risultati incoraggianti per l’impiego delle cellule staminali per curare l’autismo
La prospettiva di una terapia risolutiva per l’autismo, che vada oltre il classico approccio di riabilitazione cognitiva-comportamentale, ha al suo attivo alcuni risultati incoraggianti che riguardano autismo e cellule staminali. Unostudio del 2013 sul trapianto di cellule staminali per l’autismo ha evidenziato miglioramenti significativi di alcune scale di controllo utilizzate per le misure cliniche dell’autismo (CARS, CGI e ABC) nei bambini trattati con cellule staminali, oltre ad aver in primo luogo dimostrato la sicurezza di questi trattamenti.
Le scale a cui fa riferimento lo studio in questione misurano praticamente le capacità relazionali, cognitive e verbali dei bambini che, a seguito della ricerca, sono quindi risultate incrementate. Ulteriori studi strumentali hanno dimostrato anche l’effettivo miglioramento del metabolismo delle aree del cervello interessate.
Come evidenziato da un articolo del 2018, frutto di uno studio comparativo alla cui redazione hanno partecipato ricercatori di università italiane, che fornisce un resoconto in merito alle attuali prospettive di ricerca in materia di autismo e cellule staminali, il meccanismo che consente tali miglioramenti è verosimilmente legato a un incremento del flusso sanguigno e dell’ossigenazione dei tessuti neuronali, che comporta quindi una loro maggiore efficienza. Non a caso, le cellule staminali sono considerate un buon candidato per il trattamento di diversi disturbi neurologici, oltre all’autismo. Le connessioni neuronali, o sinapsi, danneggiate o perdute a seguito dell’incompleto sviluppo, vengono così almeno in parte recuperate. A seguito del miglioramento della trasmissione delle sinapsi cerebrali, anche la reattività del cervello aumenta e ne consegue un’attenuazione dei sintomi di autismo.
A livello fisiologico, la ridotta funzionalità del sistema immunitario a cui è associata la sindrome autistica, è in grado di trarre potenziale beneficio dalla produzione di citochine antinfiammatorie da parte di cellule staminali mesenchimali.
Swiss Medica: trattamento dell’autismo con cellule staminali
Le cellule staminali costituiscono quindi una promettente prospettiva di studio e di ricerca per il trattamento di numerose patologie che interessano il cervello e il sistema nervoso. Le stesse fonti e ricerche sin qui citate evidenziano, correttamente, anche i limiti dei risultati scientifici sin qui raggiunti.
I risultati sono incoraggianti, ma su questo versante c’è naturalmente ancora molta strada da fare per i ricercatori. Tuttavia, i pazienti e le loro famiglie nella maggior parte dei casi non possono aspettare. Ad oggi, anche se non alla domanda se l’autismo può essere curato con cellule staminali non è purtroppo ancora possibile fornire una risposta scientificamente esaustiva e definitiva, l’esperienza maturata presso la clinica Swiss Medica, basandosi sulle tecnologie e le metodologie più avanzate nel campo, ha dimostrato di riuscire in molti casi a migliorare in misura significativa i problemi dei bambini affetti da autismo.
Tale esperienza, relativa alle sedi della clinica di Belgrado e Mosca, ha ormai interessato oltre 180 pazienti nei quali la terapia, eseguita con cellule staminali donatori adulte (non fetali né embrionali), è riuscita a conseguire tangibili effetti positivi sia a livello fisiologico sia, soprattutto, a livello cognitivo e relazionale.
I risultati fisiologici osservati sul piano clinico riguardano in particolare i disturbi digestivi e hanno consentito di migliorare la salute e il benessere del paziente, incrementando generalmente la tolleranza al cibo.
Anche il miglioramento del sonno ha contribuito a un incremento del benessere fisico e psichico dei piccoli pazienti che, in generale, sono risultati meno ansiosi, in particolare in presenza di rumori forti e colori accesi o in presenza di sconosciuti, situazioni che tipicamente mettono in difficoltà i soggetti autistici.
Sul piano dei problemi relazionali sono state registrate, in misura significativa, tendenze a un maggiore contatto visivo e a un comportamento più appropriato, con riduzione dell’aggressività e degli atteggiamenti compulsivi e ripetitivi, uniti a una maggiore disponibilità di ascolto delle richieste da parte delle figure genitoriali.
Sotto il profilo cognitivo, sono stati osservati miglioramenti relativi della comunicazione verbale, a seconda del livello verbale o non verbale di partenza del bambino (inizio della fonazione o accrescimento del vocabolario). Un incremento delle capacità di concentrazione e di attenzione favorisce inoltre l’apprendimento in generale e, in particolare, della scrittura.
I miglioramenti conseguiti sul piano relazionale e cognitivo hanno in molti casi comportato vantaggi di rilievo sotto il profilo della cura di sé, con un aumento della capacità di esprimere i propri bisogni e una maggiore autonomia nell’esecuzione delle routine igieniche quotidiane.
In conclusione
L’autismo è un disturbo con una ampio spettro di manifestazioni principalmente di natura relazionale e cognitiva, che si manifesta già nei primi anni di vita e ha origine da deficit dello sviluppo neuronale correlati a una gamma di alterazioni genetiche. Nonostante le terapie convenzionali si basino essenzialmente sull’approccio riabilitativo comportamentale, nuove speranze e prospettive si stanno evidenziando grazie alle recenti innovazioni biomediche, in maniera da offrire risultati più rapidi e mirati nel trattamento di tale patologia. In particolare, l’impiego di cellule staminali, nonostante non possa essere considerato una cura efficace al 100% allo stato attuale della ricerca, è tuttavia oggetto di protocolli promettenti, già messi in atto presso alcune cliniche dell’Europa orientale, che sono stati in grado di migliorare significativamente le abilità relazionali e cognitive di piccoli pazienti in un’elevata percentuale di casi.