Servizio sanitario nazionale, Petretti e Melchiorre: “Investire in modelli assistenziali innovativi”

27 agosto 2021 | 12:24
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Servizio sanitario nazionale, Petretti e Melchiorre: “Investire in modelli assistenziali innovativi”
Servizio sanitario nazionale, Petretti e Melchiorre: “Investire in modelli assistenziali innovativi”
Servizio sanitario nazionale, Petretti e Melchiorre: “Investire in modelli assistenziali innovativi”

La consigliera comunale con delega alla sanità e la presidente della Società medico chirurgica lucchese: “Rifinanziare ciò che ha dato prova di inefficacia, le diseconomie, le disfunzioni, gli squilibri non ha senso”il

“I finanziamenti previsti dal Piano nazionale ripresa e resilienza devono essere indirizzati alla luce di modelli assistenziali innovativi che diano garanzie di risposte adeguate alle esigenze dei cittadini”. Così Daniela Melchiorre, presidente della Società medico chirurgica lucchese e Cristina Petretti, consigliera comunale con delega alla sanità intervengono per denunciare la carenza di medici a livello nazionale, dopo la notizia che su 17mila borse di studio per specializzandi 1300 sono state rifiutate o non assegnate, in particolare per le specializzazioni di medicina d’urgenza e anestesia e rianimazione.

“La crisi della sanità di questi ultimi anni è emersa in tutta la sua gravità in questa epoca di pandemia. Non possiamo essere ipocriti – continuano -. L’inizio della crisi va fatta risalire ad alcuni decenni fa caratterizzata dalla cosiddetta ‘pletora medica’, quando sembrava non ci fosse possibilità di impiego per tutti i medici che in quegli anni si laureavano. Sono passati più di 40 anni dalla sua istituzione e abbiamo festeggiato la ‘resistenza’ del nostro sistema sanitario nazionale ritenuto uno dei migliori al mondo. In realtà al momento non abbiamo molto da festeggiare: ad oggi assistiamo ad una grave carenza di personale sanitario sia medico che infermieristico“.

“In Toscana, per garantire l’assistenza domiciliare ai pazienti Covid, sono state create le Unità speciali continuità assistenziale utilizzando personale impiegato nei turni di guardia medica – vanno avanti Melchiorre e Petretti -. Di conseguenza, l’attività di guardia medica spesso è stata svolta dai sanitari del 118 andando pertanto a impoverire l’attività di emergenza urgenza. In questa situazione i pronto soccorso, a differenza di quanto accaduto nel primo lockdown, sono stati nuovamente sovraccaricati da una enorme richiesta di prestazioni, a cui i medici di medicina generale che operano sul territorio spesso non hanno potuto far fronte, lavorando con organici e risorse ridotti all’osso. A tutto questo aggiungiamo la richiesta crescente di medici vaccinatori e, per complicare il quadro, ci sono anche i sanitari no vax che devono essere allontanati dal servizio”.

“Certo – aggiungono Melchiorre e Petretti -, gestire il sistema sanitario è cosa complessa, ma è anche altrettanto vero che in questi anni sono stati compiuti molto errori. Pensiamo al progressivo  definanziamento della sanità pubblica ritenuta un ‘costo’ nelle voci di bilancio quando invece sappiamo bene che una popolazione sana è garanzia di benessere e di risparmio, anche per le finanze dello Stato. Pensiamo all’imbuto formativo con l’attuazione del numero chiuso delle specializzazioni che non ha tenuto conto del rapporto tra domanda e offerta. Aggiungiamo poi il blocco del turn over delle risorse umane al punto di essere arrivati ad avere la classe medica più vecchia d’Europa; lo smantellamento progressivo dei servizi di prevenzione e mancanza di una seria e radicale riorganizzazione del territorio la cui evidenza è stata palese e tangibile in questo periodo di emergenza sanitaria; la mancata rivisitazione contrattuale delle prestazioni, delle responsabilità e dei nuovi modelli organizzativi delineati dal Piano nazionale ripresa e resilienza; la spinta verso la sanità privata per cercare, senza riuscirci, di gestire le lunghe liste d’attesa che ha invece favorito le disuguaglianze sociali”.

“In questo periodo di pandemia – concludono – la difficoltà all’accesso delle cure si è manifestato in maniera più marcata per i soggetti con cronicità (in Italia rappresentano il 43% della popolazione a fronte di una media europea del 30%) e più fragili anche da un punto di vista socio economico. Questo contesto ‘Covid centrico’ ha messo in evidenza che proprio i cittadini affetti da pregresse condizioni morbose croniche hanno avuto maggiori difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria e alle opportune cure, così come quelli in stato di povertà, marginalità e basso livello di istruzione. Cosa possiamo fare allora? Potenziare il servizio sanitario, che deve rimanere pubblico, ripensando complessivamente i ruoli, le responsabilità e la remunerazione con finalità di ricostruzione. Fare in modo che i finanziamenti previsti dal Piano nazionale ripresa e resilienza, irripetibile occasione, siano giustamente indirizzati alla luce di modelli assistenziali innovativi che diano garanzie di risposte adeguate alle esigenze dei cittadini. La sanità va certamente rifinanziata, ma rifinanziare ciò che ha dato prova di inefficacia, le diseconomie, le disfunzioni, gli squilibri non ha senso”.