A Lucca la Settimana nazionale di aggiornamento pastorale: serve una nuova relazione fra chiesa e territorio



Al centro della riflessione il futuro delle comunità cristiane nelle aree interne: “Anche grazie alle nuove tecnologie si supererà la centralità della parrocchia come intesa finora”
Ultimo appuntamento per la 72esima edizione della Settimana nazionale di aggiornamento pastorale promossa dal Cop che quest’anno si è svolta a Lucca a cura dell’arcidiocesi presso il seminario di Monte San Quirico.
Il Centro di orientamento pastorale (Cop), un organo di studio e riflessione a servizio della chiesa italiana, ha svolto a Lucca il suo annuale convegno nazionale (26-28 giugno) quest’anno dedicato al tema delle comunità nelle aree interne. Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?. Questo il titolo della tre giorni lucchese.
All’interno del convegno, che ha visto numerose testimonianze di piccole comunità dal sud al nord Italia, è intervenuto anche l’arcivescovo di Lucca monsignor Paolo Giuletti che ha affermato: “Sono numerose e varie le categorizzazioni delle componenti essenziali della comunità cristiana. Quello che interessa individuare delle dinamiche che possono consentire di declinarne il vissuto in relazione alla particolare situazione dei “piccoli centri”, caratterizzati da scarsa densità di popolazione, innalzamento dell’età media, vastità del territorio, carenza di servizi e declino economico”. “In Italia sono interessati circa 4mila Comuni, comprendenti quasi il 59% del territorio nazionale e il 22,5% della popolazione, con particolare concentrazione nelle aree collinari e montuose, ma con qualche significativa espansione anche nelle zone rurali delle grandi pianure. La classificazione delle aree viene effettuata dal Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) a partire dalla distanza dalle località-polo Immaginare un futuro per la comunità cristiana nelle “aree interne” implica una visione circa la risoluzione attuale del rapporto tra concentrazione e prossimità”.
“Si propone di partire dal necessario primato della concentrazione, capace di sostenere quelle dinamiche di innovazione che restituiscano alla chiesa capacità missionaria e formativa per le nuove generazioni. Ciò richiederà individuazione di spazi e tempi “intensivi” in cui assicurare proposte di qualità, grazie a risorse materiali e umane sufficienti. Anche l’apporto delle nuove tecnologie potrà contribuire a tali dinamiche. È ovviamente necessario predisporre una nuova relazione tra chiesa e territorio, che superi la centralità della parrocchia come intesa finora. Ciò non significa tuttavia, abbandonare l’opportuna cura per la prossimità, non solo per il valore evangelico della “pietra scartata”, ma per valorizzare le potenzialità relazionali ed esperienziali legate ai piccoli e piccolissimi centri. A tale scopo, occorrerà istituire nuove forme e figure ministeriali dedicate alla prossimità”.
Monsignor Domenico Sigalini, vescovo emerito di Palestrina ha concluso l’ultima giornata lucchese. “Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo? Chiariamo subito il nostro punto di vista e il compito che ci siamo dati in questi giorni. Siamo partiti da una consapevolezza che già da tempo il Centro di orientamento pastorale sta vivendo e cioè della situazione delle nostre parrocchie piccole, senza prete che devono assolutamente ritrovare la vitalità ecclesiale in questo costante deperimento cui è soggetta soprattutto nei piccoli centri o paesi o parrocchie. Già a Padova prima della pandemia avevamo tentato un approccio al discorso delle parrocchie senza prete e ci siamo accorti che si doveva assolutamente cambiare stile di chiesa e di parrocchia. In questi anni, a partire dagli incontri su tematiche legate alle aree interne del Sud, tenutisi a Benevento, si è allargata l’attenzione anche alla situazione sociale, politica, sanitaria, lavorativa di queste realtà e anche i politici sono stati coinvolti soprattutto per il loro dovere di garantire a tutti una cittadinanza effettiva. In questi giorni ci siamo ritrovati a guardare con maggior progettualità a queste piccole realtà che noi vogliamo esplicitamente aiutare ad essere comunità cristiane che seguono e annunciano Cristo. Nessuno pensi che non ci interessiamo alla vita concreta della gente, che non ci interessa lo stato di abbandono di essa per tutti i suoi beni di prima necessità. Noi qui abbiamo voluto ridire quello che ci spetta per il fatto che siamo comunità cristiana che vuol continuare a obbedire al mandato di Cristo lasciato agli apostoli e alle prime comunità di cristiani. In questi piccoli centri spesso c’è un bel luogo per il culto, una bella chiesa, che rimane spesso chiusa, sostenuta dalla gente del luogo, ancora molto amata e che non sa più dire il suo vero perché, il suo compito, il perché della sua presenza. Non siamo ancora alla vendita o all’utilizzo di essa in termini commerciali, ma sicuramente alla constatazione che sono inservibili, se non per le sempre più rare messe domenicali. Ci siamo domandati: che tipo di comunità cristiana formano le poche famiglie che vi restano? Sono ancora la chiesa del Signore Gesù? Non si tratta semplicemente di accorpare parrocchie e di ripensare alcuni incarichi tradizionalmente affidati ai sacerdoti: si tratta di iniziare un cammino di ripensamento della forma che la chiesa ha assunto nel corso della storia”.