Urbanistica, Mammini: “La partecipazione è energia positiva per la città”
L’esperienza dei laboratori per il piano operativo in un’intervista all’assessore Mammini a poche ore dalla chiusura del percorso online
Si è concluso questa mattina (11 luglio) il percorso di partecipazione verso l’adozione del nuovo piano operativo della città, strumento urbanistico che l’amministrazione Tambellini vuole portare all’attenzione del consiglio comunale entro la fine del 2020. Dopo l’esperienza dei punti di ascolto sul territorio dello scorso febbraio, il confronto è proseguito online con tre laboratori: il primo dedicato allo spazio pubblico; il secondo rivolto alle aree naturalistiche e ai parchi territoriali; il terzo, e ultimo, sull’area di rigenerazione dell’ex scalo merci e del mercato di Pulia. Abbiamo incontrato l’assessore all’urbanistica Serena Mammini per riflettere sul significato di questa esperienza.
Lucca sta rinnovando i propri strumenti urbanistici. Il lavoro per il piano operativo è andato avanti, in queste settimane, insieme alla partecipazione online. Un’esperienza che è ritornata, dopo il lungo percorso per il piano strutturale. Quali sono i suoi punti di forza?
Ho fatto esperienza di partecipazione come cittadina e come amministratrice. È potente l’energia positiva che si genera quando ci sono tante teste e anime che ragionano insieme, tante visioni e condivisioni. Quando ci si ascolta, serenamente. Certo, il materiale sul quale lavorare e fare sintesi può essere tanto, ma lo scambio di idee ha comunque un denominatore comune che è il programma di governo. In processi come il rinnovo degli strumenti urbanistici c’è già un orizzonte di obiettivi dichiarati: la partecipazione è un momento politico, uno spazio di confronto per arrivare al meglio di quello che era stato proposto, smussando gli angoli e lasciando quello che serve a una comunità nella sua interezza.
Cosa serve per rendere efficaci questi percorsi e arrivare a sintesi di grandi brain-storming?
Un percorso di questo tipo funziona se tutti lo vivono col giusto spirito: coscienza di non avere la verità in tasca da parte di nessuno e voglia di offrire un contributo per una visione d’insieme. Poi dipende dal tema. Talvolta sono argomenti complessi che necessitano di un supporto tecnico e questo fa stringere il campo di azione delle proposte che dovrebbero essere realizzabili per essere accolte. La partecipazione muore quando viene inquinata da interessi di parte, quando diventa questua, richiesta a senso unico del cittadino all’amministratore per risolvere un singolo problema che lo riguarda.
Come si esce da questo equivoco?
C’è bisogno di educare alla partecipazione, sia i cittadini sia gli amministratori, e le domande che stimolano i processi devono essere giuste e ben calibrate, per non generare aspettative troppo alte: col piano strutturale, che è uno strumento di strategia e visione, abbiamo corso un po’ questo rischio. D’altronde tutti noi cittadini abbiamo bisogno di concretezza, di vedere i marciapiedi sistemati, di sentirci sicuri nei nostri quartieri, di andare all’anagrafe e risolvere impiegando il minor tempo possibile, di ricevere buone proposte culturali e via dicendo, è comprensibile.
Qual è il momento più importante di un processo di partecipazione?
Quello della conoscenza e quello della restituzione, quando l’esito di un percorso diventa un atto che il consiglio comunale approva. Penso ancora al percorso di partecipazione verso il piano strutturale: durante i laboratori sul territorio era emersa, con forza, la necessità di dotare ogni quartiere e paese di spazio pubblico, connesso, per la vita e la relazione all’aria aperta. Perché tutti possano uscire di casa e fare due passi in sicurezza proprio come avviene sull’anello delle Mura urbane. In molti luoghi esistono già aree così, ma rimangono scollegate dal resto dell’abitato e quindi poco vissute o comunque raggiunte con difficoltà. Ecco perché nel piano, laddove possibile, abbiamo ricreato un disegno che ricuce, riordina, riconnette. Una progettazione che nel 2016 ha combaciato con l’opportunità di partecipare sia ai bandi regionali Piu (progetti di innovazione urbana), sia a quelli ministeriali per le periferie, i cosiddetti Quartieri social.
Siete riusciti a portare a sintesi gli obiettivi del piano strutturale, emersi con i percorsi partecipati, e la progettazione per i Quartieri social?
Abbiamo lavorato cercando di coordinare il realizzabile ai bisogni emersi, per offrire risposte tangibili nel tempo più breve possibile a Sant’Anna, San Concordio e San Vito – i tre quartieri più popolosi del nostro comune. Non dimentichiamo che i bandi hanno parametri decisi altrove, e su questo tema potrebbe aprirsi un ampio dibattito. Le amministrazioni locali, quindi, non hanno totale libertà d’azione. Sono comunque nati i progetti dei Quartieri social, nella ricerca della ‘quantità’ di bene comune maggiore per Lucca, limando le richieste particolari a vantaggio di un equilibrio superiore, migliorando i dettagli nelle varie fasi progettuali. Poi, che non sia possibile ottenere l’apprezzamento di tutti, lo abbiamo messo in conto, anche perché mettere da parte l’interesse personale per la comunità richiede predisposizione, esercizio civico. Anche in questa direzione, con i tanti processi partecipativi messi in campo negli ultimi dieci anni, stiamo lavorando.
Lucca appare talvolta come una città difficile, che non si lascia facilmente coinvolgere da percorsi propositivi ma è pronta a mettere in piedi comitati per questioni particolari, in pieno spirito nimby. Come mai questa resistenza?
Per Lucca il concetto stesso di partecipazione è piuttosto nuovo. Ricordo che per l’avvio del procedimento del nuovo piano strutturale l’assessore Modena della giunta Favilla favorì la raccolta di idee e proposte con delle cartoline: credo fosse il 2011, più o meno, e quell’azione venne recepita come una bella novità. Un nuovo strumento di dialogo con l’amministrazione comunale che si è sostituito al presidio territoriale rappresentato dalle circoscrizioni, che incanalavano le istanze segnalate e cercavano di risolverle, anche interessandosi al particolare. Venuto meno questo cuscinetto si è sfaldato un sistema che ha perso il controllo, in un’ondata di richieste e di situazioni irrisolte che si disperdono in un vortice di frustrazione cittadina e un po’ anche amministrativa. È qui che si inserisce l’equivoco della partecipazione come raccolta di piccoli problemi quotidiani e concreti, e il conseguente fallimento laddove non possano essere soddisfatti nell’immediato. Quale amministratore non vorrebbe accogliere e risolvere tutte le richieste sensate? Che poi, se è amministratore attento, molte cose le vede anche con i propri occhi. Il mio telefono, per esempio, è ricco di mie foto di segnalazioni che inoltro agli uffici. Non è possibile, però, arrivare a tutto in tempi brevi. Da lì l’esigenza di un reale piano della manutenzione.
Oggi si è concluso il percorso partecipativo online verso il piano operativo. Può fare un bilancio di questa nuova esperienza?
Dopo l’esperienza dei punti di ascolto sul territorio a febbraio eravamo pronti per partire con i laboratori tematici. Il Covid-19 ci ha costretti a riprogettare completamente nuove modalità di dialogo con i cittadini. Abbiamo scommesso sulle opportunità offerte dalle piattaforme digitali di videoconferenza e devo riconoscere che il metodo si è rivelato migliore di quanto mi aspettassi. Infatti c’è stata molta attenzione e minor dispersione rispetto agli incontri tradizionali, anche perché i laboratori erano ben organizzati dalla società Cantieri Animati, che ringrazio. I cittadini che hanno partecipato hanno potuto confrontarsi tra loro e con tutto lo staff che lavora al piano, dagli uffici comunali ai consulenti. Anche a loro va il mio grazie. Siamo arrivati fino a luglio ed è stata una bella attestazione di fiducia nel lavoro condotto poter vedere persone attive, propositive, appassionate alla città e allo stile di vita che esprime e che potrà esprimere ancora meglio.
Nella gestione dell’emergenza sanitaria si è rivelato ‘vincente’ un modello di città diffusa, capace di restituire servizi di prossimità al cittadino e di prevenire possibili criticità. Una città in cui tutto il necessario dista 15 minuti. Corrisponde al disegno per Lucca? Cosa potrà essere rafforzato?
Lucca è già una città a 15 minuti. Il nostro centro storico è come una calamita potente, ma Lucca è anche tanti centri diffusi in un intorno molto bello, penso soprattutto alle colline che attenuano il non disegno dell’immediata piastra urbana intorno alle Mura. Insieme alla sua Piana può fare sistema perché ha tutto quello che la geografia, fisica e antropica, può offrire per un’indipendenza vitale: penso al ciclo dei rifiuti, all’obiettivo zero waste, ma anche ad un’autonomia agroalimentare che passa attraverso la promozione di uno stile di vita più sostenibile e alla valorizzazione delle filiere corte e dei produttori locali. A questo proposito merita citare la Piana del cibo, progetto di partecipazione attiva su queste politiche che vede Lucca coinvolta insieme a Capannori, Porcari, Altopascio e Villa Basilica: un percorso che ha condotto a un piano intercomunale, a un’infrastruttura di sistema – il consiglio del cibo, con la sua agorà e i tavoli tematici – e a un ufficio dedicato.
Il virus ci ha resi società ‘in cura’. Ecco, come si declina questo concetto in politica?
Il tema della cura mi è particolarmente caro. La cura presuppone un legame affettivo: ci si prende cura quando sono coinvolti dei sentimenti. E non esiste politica senza cura dell’essere vivente. Un concetto che si può esplodere in una miriade di situazioni: cura in un disegno della città che anticipa i bisogni dei suoi abitanti; cura che valorizza la prevenzione territoriale in ambito socio-sanitario; cura che è ordine, sicurezza nel vivere bene la città. Laddove non c’è cura non c’è interesse, non c’è relazione e non c’è umanità. E la politica è solo propaganda, è cartone che si sfa alla prima pioggia. La cura è la cifra che distingue quella che da tanti anni io definisco ‘poliEtica’: il darsi, lo scambio, il mettere a disposizione una parte di sé per l’altro. Tutti siamo chiamati a essere datori e percettori di cura al tempo stesso: sentirsi amati e importanti è la massima aspirazione degli esseri umani, quando c’è carenza di amore ci sono patologie interiori. La politica in cui credo è agita da tutti nel quotidiano, nella preoccupazione perché l’altro stia bene. Una spinta che è alla base dell’idea e della pratica di governare – verbo che non a caso richiama anche la cura che si mette nel lavorare la terra, nel fare l’orto, nel togliere le erbette che crescono tra una coltura e l’altra, nel portare acqua, con la dedizione e l’affetto di ogni giorno. Non ha nulla a che vedere, questo, con la raccolta di voti: per questo, spesso, vivo con sofferenza alcune diffuse degenerazioni di questa pratica.
E come lo declineresti nella politica urbanistica di Lucca?
La nostra politica urbanistica scrive le regole per ricreare armonia in un sistema che non è una pagina bianca, con un disegno dei luoghi pensato per migliorare la vita di ognuno. Ma non è realizzazione di progetti concreti: certo è che con nuove e chiare norme sarà più facile intervenire e farlo seguendo questa razionalità. Il nostro lavoro doterà di ordine e funzionalità nuove questo territorio, per lo più composto da isolati chiusi e non connessi tra loro. Vogliamo cercare di ricucire, di intervenire quando possibile per lasciare in dote più città pubblica, più bella e più giusta.