Bagni di Lucca, sanzione prescritta per multa Casinò

Dopo quasi 34 anni la Corte dei conti mette la parola fine sulla vicenda che ha tenuto banco sui tavoli della giustizia amministrativa e contabile dall’11 settembre del 1981: quel giorno, dalle 17,40 alle 18,04 sulla roulette del Casinò di Bagni di Lucca passarono fiumi di denaro. Oltre 100 milioni. Venti minuti di gioco, costati tanti anni di diatribe giudiziarie ma per cui alla fine nessuno dovrà versare un centesimo all’erario. Era un esito ormai scontato, che è stato confermato dalla Corte dei Conti con una sentenza depositata lo scorso 17 giugno: poiché intervenuta la prescrizione, il sindaco dell’epoca, Enzo Tintoni, gli ex assessori Pilade Togneri e Giorgio Paladini, e l’ex segretario comunale Pierluigi Importuno, ritenuti responsabili del presunto danno erariale da una successiva delibera di giunta arrivata nel 2000, non dovranno versare un euro. E anche le spese processuali sono state compensate su verdetto dei giudici. Avrebbero dovuto pagare di tasca una maxi multa pari a 169.739, 38 euro.
L’annosa vicenda che all’epoca fece scalpore a livello nazionale prende il via da un atto di forza dell’allora sindaco Enzo Tintori che il 10 settembre dell’81 porta in giunta una delibera che lo autorizza a riaprire la sala da gioco del Casinò, rimasta attiva fino al 1953, anno in cui era scaduta la concessione. Approvato l’atto, subito impugnato dal Co.Re.Co che lo aveva annullato, vietando la riapertura, il giorno successivo il Casinò di Ponte a Serraglio era stato riaperto. Un blitz che era stato comunicato con un telegramma al prefetto alle 17,45, a pochi minuti dal primo giro di roulette. L’ufficio territoriale del governo di Lucca aveva immediatamente risposto, inviando la polizia che aveva fatto sgomberare la sala e messo i sigilli.
La prima conseguenza per le casse del Comune di Bagni di Lucca è la sanzione comminata dal ministero delle finanze, per la violazione del testo unico sulle concessioni governative. La multa è di 215 milioni nel 1990 ma poi sale, con l’iscrizione a ruolo, a 415 milioni. Perché l’amministrazione comunale non ha alcuna intenzione di pagare. Né può farlo, visto che nel 1989 era stato dichiarato il dissesto. La questione della multa quindi viene segnalata alla Corte dei conti e non iscritta nel piano di estinzione delle passività. Si arriva così al 2000 dopo anni di stallo: la giunta, per tutelarsi, approva una delibera in cui indica e riconosce i responsabili del debito in Tintori, Paladini e Togneri. Contestualmente il Comune decide di pagare una parte della sanzione ormai arrivata, a causa delle more, a 385mila euro. Anche quest’atto finisce nel fascicolo alla Corte dei Conti, ma non si fa attendere la reazione degli ex amministratori che impugnano l’atto – che impone loro di pagare di tasca gli oltre 169mila euro rimanenti -, davanti ai magistrati della giustizia amministrativa che con sentenza del Consiglio di Stato dà loro torto. La palla però è di nuovo passata alla Corte dei Conti che con l’ultima sentenza ha chiuso la diatriba in un modo che era inevitabile: la multa è caduta in prescrizione e anche se la giustizia amministrativa li ha ritenuti responsabili del “danno”, nessuno dovrà pagare quella sanzione a cui tante polemiche sono seguite fino ad oggi.