Mazziniane camelie di Lucchesia

15 novembre 2017 | 10:04
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Mazziniane camelie di Lucchesia

Una leggenda giapponese vuole che la camelia (camellia japonica) sia un dono offerto dagli dei agli uomini per rendere migliore, attraverso la sua indiscussa bellezza, la loro permanenza nel mondo. Simbolo anche di sana longevità, perché vive a lungo e sempre con grande decoro, la camelia fu importata in Europa dall’estremo oriente – Cina e Giappone – intorno alla metà del XVIII secolo. In Italia il fiore venne probabilmente messo a dimora per la prima volta nel parco della reggia di Caserta per volontà della regina Maria Carolina d’Asburgo Lorena (1752 – 1814), moglie di Ferdinando IV di Napoli e sensibile, almeno in gioventù, alle idee illuministiche che percorrevano allora l’Europa e l’Italia. 

Per la sua bellezza e le sue doti di resistenza, in pochi anni, la camelia divenne la pianta preferita dalla nobiltà e dalla ricca borghesia settecentesca, che si dilettarono a popolarne le aiuole dei giardini privati e delle ville di famiglia. In Lucchesia l’albero dalle foglie lucenti, lucide e coriacee, fu introdotto da Angelo Borrini, originale figura di scienziato, cameliofilo e patriota. Infatti, insieme al fratello Alessandro, Angelo seppe intrecciare la passione per la coltura di questa pianta con quella per la politica e gli ideali mazziniani che agitavano la Toscana e l’Italia tutta nella prima metà dell’Ottocento. Era nato a Lucca, Angelo Borrini, figlio di Francesco Maria e Piera Pieri, nel 1805. La famiglia ne curò l’educazione attraverso i servizi di un istitutore francese severo, ma di di sentimenti e convinzioni liberali. Successivamente fu studente dell’ateneo pisano, dove dimostrò una spiccata propensione per le scienze naturali e si laureò in medicina, specializzandosi in oculistica. E proprio come medico e oculista ebbe in cura il duca di Lucca, sofferente di una forma ricorrente e acuta di oftalmia cronicizzata. In tale veste seguì Carlo Ludovico di Borbone nei suoi numerosi viaggi in Europa: Parigi, Lipsia, Vienna, le città del Belgio, Lipsia, Dresda… Politica, diplomazia, affari, ma soprattutto il tavolo verde del gioco d’azzardo portavano il bizzarro e contraddittorio duca di Lucca a spostarsi da una capitale europea all’altra, da un casinò all’altro, accumulando debiti sempre più difficilmente solvibili. Nella città sassone di Dresda Angelo conobbe e sposò Carolina Kredyck, figlia di esuli e nazionalisti polacchi proprietari di un albergo, ‘Il Polonia’ appunto, frequentato dalle case regnanti e dai personaggi di spicco di tutta Europa. Ritornato con la moglie nella sua villa sulle colline di Lucca, che la famiglia Borrini aveva acquistato a Sant’Andrea di Compito sin dal 1817, a partire dal 1830 Angelo, insieme al fratello Alessandro, dette vita a una duplice attività: la coltivazione scientifica della camelia, i cui semi aveva acquisito a Gand durante uno dei suoi viaggi all’estero, e la diffusione degli ideali politici liberali in opposizione ai regimi autoritari dominanti in quegli anni in Italia e in Europa. Proprio nella dimora capannorese ebbe sede un’associazione di tipo carbonaro e di segno repubblicano chiamata ‘Compagnia liberale’, dotata di una stamperia clandestina che realizzava un periodico, la ‘Gazzetta del Serchio’, la cui testata riportava il motto mazziniano “Perseguitate colla verità i vostri persecutori. Scrivete”. La voce popolare vuole che anche Giuseppe Mazzini sia stato ospite di villa Borrini sia per fidelizzare la sua ‘vendita’ carbonara, sia per acquistare partite di buon olio lucchese da rivendere per sostenere la causa italiana. Pure le camelie fecero la loro parte nel Risorgimento italiano. Simbolo d’identità patriottica (la cultivar Oscar, chiamata così dal nome del primogenito, bianca, screziata di rosso insieme al verde delle foglie riproponeva visivamente i colori nazionali) questo fiore rafforzava il senso d’appartenenza anche per i nomi con cui spesso venivano battezzati gli esemplari più belli: La Carbonara; Francesco Ferruccio; 22 marzo (giorno glorioso delle cinque giornate milanesi); La bella Romana; Roma risorta… e così via, nominando e patriotteggiando.

Luciano Luciani