Carlo IV, Lucca e il “vizio nefando”

23 maggio 2018 | 13:29
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Carlo IV, Lucca e il “vizio nefando”

L’abbondanza di titoli – 1346, re di Germania dal; 1347, sovrano di Boemia; 1355, imperatore del Sacro Romano Impero – ci dice che alla metà del XIV secolo, Carlo IV di Lussemburgo (1316 – 1378) era l’uomo più importante d’Europa. Colto come si conveniva a un suo pari – parlava, leggeva e scriveva in almeno cinque lingue (francese, tedesco, latino, italiano e ceco) – a lui si deve la trasformazione di Praga in città europea e imperiale; la moral suasion nei confronti del papato perché si decidesse a lasciare la cattività avignonese per tornare a Roma; una lunga amicizia, e relativa corrispondenza, con Francesco Petrarca che il 6 gennaio 1355 nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano partecipò alla sua incoronazione.

Imperatore viaggiatore fu spesso anche in Italia. Guidò eserciti e assediò città, più abile, forse, come diplomatico che come stratega militare. Non disdegnò la compagnia femminile: ebbe quattro mogli e numerosi figli. Deciso a riequilibrare la mappa geopolitica della Toscana, accogliendo le suppliche dei Lucchesi, nell’aprile 1368 si stabilì con la sua corte nel palazzo dell’Augusta: l’anno seguente allontanò i governatori pisani e dichiarò ristabilita la libertà di Lucca sotto la sua giurisdizione. Pochi giorni dopo i lucchesi riuniti nella piazza di San Michele in Foro gli resero omaggio e pronunciarono un solenne giuramento di fedeltà. Siamo certi che tra meno di un anno, nell’aprile del 2019, in occasione del 750esimo anniversario della restituita libertà lucchese, non mancheranno le manifestazioni e le iniziative volte a celebrare la comparsa della Repubblica lucchese nella più generale vicenda italiana ed europea. Eppure, il fiume limaccioso della storia ci consegna, insieme alla memoria festosa di quel giorno, anche il ricordo di eventi minori, ambigui e tragici però, che tra i protagonisti ebbero proprio Carlo IV. Racconta Giovanni Sercambi (1347 – 1424), uomo politico e letterato lucchese nelle sue Croniche: “Essendo nel palagio del castello, lo ‘mperadore e il chardinale e e la imperatrice, essendo in tale maniera a una delle finestre del palagio, fu veduto per li soprascritti uno nipote del conservadore di Luccha, il quale conservadore avea nome ser Macteo d’Arezzo, e un figliuolo di Biagio Guidicci di Luccha, di nome Simone, d’anni X, uzare contro natura. Per la qual cosa i dicti furono presi per lo maniscalco dell’imperatore, il quale ha nome Bosch de Villaritz, et indicati al fuoco”. Una trasgressione infame a cui corrispose una punizione orrenda: il nipote del conservatore Matteo d’Arezzo, ghibellino, rappresentante del governo pisano, venne evirato pubblicamente in piazza San Michele e arso a porta San Donato. E toccò proprio allo zio dare fuoco alle fascine che alimentavano il rogo. Poche righe, quelle del Sercambi, dalle quali trapela un mondo che, accanto alle ancora recenti libertà comunali manteneva, anche nei suoi uomini più rappresentativi, mentalità e comportamenti feroci, intolleranti, crudeli. Non esenti, tra l’altro, dal sospetto di una strumentalizzazione politica di un episodio deprecabile. Lucca condivide l’atavica paura della diffusione del nefando vizio ‘contro natura’. Per combatterlo, nel 1448 la città toscana, arrivò addirittura all’istituzione di una particolarissima magistratura, l’Offizio sopra l’Onestà: tre cittadini, eletti annualmente, con plenariam auctoritatem, a cui toccava “investigandi, inquirendi et perquirendi de culpabilibus et contra culpabiles in dicto vitio, cuiuscumque conditionis, qualitatis et gradus existent”. Un evidente assillo, la sodomia, per i Lucchesi che nel 1454 tornarono sulla questione con un decreto che penalizzava tutti i cittadini di età compresa tra i ventisette e i cinquant’anni che venivano esclusi da ogni impiego pubblico se non regolarmente coniugati.

Luciano Luciani