Luigi di Torre Alta, detto Ivan

30 maggio 2018 | 14:30
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Luigi di Torre Alta, detto Ivan

Sono sempre belle le canzoni di Ivan Della Mea, anche a riascoltarle a mezzo secolo di distanza dalle vicende che le ispirarono. Allora non le trasmettevano certo per radio e meno che mai avresti avuto l’occasione di incrociarli, le canzoni e Ivan, sugli schermi tv già allora irrimediabilmente entrati in tutte le case. I suoi testi intensi, cantati con una voce roca indimenticabile su melodie tanto semplici quanto incisive, rappresentarono la colonna sonora di una minoranza giovanile, animata da un’idea forte: quella della rivoluzione che avrebbe posto fine se non a tutti almeno a molti dolori sociali e realizzata una maggiore giustizia e un po’ più di uguaglianza.

Si cantavano in piazza, nel corso delle manifestazioni a favore del Vietnam e contro l’imperialismo americano; in occasione di dimostrazioni sindacali con cui una parte importante del paese agiva per sanare antiche e recenti ingiustizie; in affollate assemblee studentesche nelle università occupate… E il nostro bardo era il Della Mea. Che, nonostante la straordinaria padronanza dei linguaggi e dei gerghi meneghini sempre dimostrata – sue le più belle ballate contemporanee in dialetto milanese – non era per niente lumbard, ma era nato a Lucca col nome di Luigi: nel 1940, a Torre Alta, da una famiglia di mezzadri, ultimo di quattro figli. Il padre, Federico, manifestò sempre poca voglia di lavorare, scarsa propensione alla vita familiare, una passione, invece, per l’alcol, le corse dei cavalli e il gioco d’azzardo. Fece dei grossi debiti, s’intruppò col fascismo e, dopo la guerra, si perse, fino a ridursi a una figura erratica che sapeva di barbone. Morì nel 1962 intossicato “di fascio e di vino”: allo stesso anno data il primo lp di Ivan, Ballate della piccola e della grande violenza, una storia autobiografica, durissima, in versi e musica, senza spazio per la retorica:

Ieri mio padre è morto
solo e senza niente.
Io l’ho rivisto
nella stanza ardente.
I baffi erano tecchi
parevano bestemmie,
contro quel lezzo forte
che sapeva di morte

E ancora:

In una stanza senza stagioni,
dove regnava la miseria,
la vita era cosa assai seria
con un padre re dei beoni,
il quale sbronzo quasi ogni sera,
vagava nudo in quella stanza
canticchiava ‘Faccetta nera’

Faticoso e complicato per Luigi l’approccio alla vita adulta. Adolescente canta bene, legge tantissimo, altrettanto gioca a pallone. Trasferitosi da Lucca a Bergamo frequenta istituti e collegi che sanno di disagio familiare. Irregolari e tormentati i suoi studi. Frequenta la scuola di avviamento industriale e poi il convitto scuola Rinascita di Milano, laboratorio di esperienze pedagogiche molto avanzate: qui diventa comunista e per significarlo a tutto il mondo assume soprannome di Ivan. Comunque lo cacciano anche di lì.
Lavori: tanti e precari. Fattorino, correttore di bozze, redattore al Calendario del popolo, rivista di cultura popolare legata al Pci. Nel 1960 passa alla casa editrice Vallardi e vede il suo stipendio raddoppiato da 25.000 lire al mese a 50.000. Licenziato. Assunto alla Camera del lavoro di Milano al sindacato poligrafici e cartai. Giornalista al quotidiano Stasera, che chiude nel 1962 dopo la morte di Enrico Mattei. Tante altre occupazioni, tutte segnate dalla discontinuità e condotte all’interno di uno stile di vita bohèmienne. Nel frattempo inizia la sua attività col Nuovo canzoniere italiano, un gruppo musicale a cui si deve la riscoperta e la valorizzazione di molti canti della tradizione e di protesta. Col Nci Ivan realizzerà 12 lp, tre 33 giri, tre 45 giri e soprattutto anni e anni di concerti nelle piazze, nelle Case del popolo, nelle sezioni di partito, nei circoli Arci, nelle Feste dell’Unità e dell’Avanti. Un tentativo generoso di creare un circuito culturale alternativo a quello ufficiale e dominante della radio e della televisione. Un’utopia non riuscita. Ma l’attività di Della Mea non si è limitata al recupero della cultura popolare attraverso le canzoni e all’impegno di inventare una canzone politica adeguata a quanto andava accadendo in Italia, in Europa, nel mondo: il boom economico, la trasformazione della società italiana in società industriale, il consumismo, la cultura di massa, il Vietnam e il ’68, le vecchie ingiustizie e quelle nuove… E mentre quella spinta al cambiamento, progressivamente, andava esaurendosi, ‘Ivan’ rivela anche altre doti, qualità, risorse.
Giornalista dell’Unità, del Manifesto, di Liberazione, direttore del mensile di politica e cultura Il Grandevetro, Della Mea rivela ottime doti di scrittore noir con Il sasso dentro, 1990, tagliente poliziesco metropolitano e Sveglia sul buio, 1997, il racconto di come un gruppo di anziani riesca ad agire, con qualche successo, contro il potere, da quello militare a quello dei media. Con Se nasco un’altra volta ci rinuncio, raccolta di aforismi, epigrammi e massime, Luigi ‘Ivan’ nel 1992 vince il premio Forte dei Marmi per la satira politica. Vanno poi almeno ricordati La cantagranda, testi poetici che l’autore chiama ‘cantate’, e l’ultimo suo libro Se la vita ti dà uno schiaffo, uscito pochi giorni prima della scomparsa nel giugno 2009; Ivan aveva cominciato a scriverlo quando poco tempo prima il cuore gli si era fermato per 17 secondi. Ancora un’informazione per rendere conto della sua versatilità, l’esperienza di sceneggiatore cinematografico: nel 1969 insieme a Franco Solinas scrive il soggetto di Tepepa, uno spaghetti-western niente male dalla parte degli sfigati con Thomas Milian e, addirittura, la partecipazione di Orson Welles. Presidente sino alla fine dell’istituto Ernesto De Martino, “per la conoscenza e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario”, si definiva “comunista resistente, interista paziente”. Ti abbiamo voluto bene, Ivan Della Mea.

Luciano Luciani