Racconti al futuro e chi li scrive, anche a Lucca

Nei primi ottanta/novant’anni successivi all’unità politica e amministrativa del bel paese, giornalisti e scrittori, saggisti e addirittura librettisti d’opera non si privarono dell’opportunità di assaggiare il gusto asprigno di prefigurare mondi e futuri altri. Lo fecero, però, senza convinzione e, soprattutto, appesantiti da fin troppo palesi intenzioni didattiche e/o moraleggianti.
Su tutti loro, poi, e sulla loro ricerca di contenuti diversi ha occhieggiato, minaccioso, arcigno l’anatema del pur bene intenzionato abate Stoppani contro “quelle opere di Verne che hanno inondato l’Italia e a cui la nostra gioventù e gli stessi uomini corrono dietro con puerile curiosità… Mostruosa miscela di vero e di falso”. “Mostruosa miscela di vero e di falso”, dunque, la letteratura avveniristica: una maledizione destinata a durare nel tempo, quella dello scrittore lombardo, grande volgarizzatore tardo ottecentesco di tematiche naturalistico-scientifiche. Per di più, provenendo dall’interno del mondo cattolico, però liberale, e da uno scienziato (era lo Stoppani geologo e paleontologo di fama riconosciuta) anche uomo di Chiesa, il suo giudizio si configurò come particolarmente autorevole. Rafforzato dalle dimensioni del successo di pubblico del suo libro, Il bel paese, 1875: oltre ventimila copie vendute, uno dei primi best seller della nascente editoria dell’Italia unita. Per lasciar sedimentare quel particolarissimo e malevolo punto di vista occorrerenno ben due guerre mondiali e un intero fascismo. Perché le novità, per quanto riguardava la fantascienza, giunsero solo al seguito degli eserciti alleati: che ci bombardarono parecchio, ci liberarono un po’, ci regalarono tanto Ddt per sconfiggere le zanzare e quindi la malaria (grazie!). Ai miei occhi di figlio dell’immediato dopoguerra proposero soprattutto nuovi, desiderabili stili di vita. Nei costumi: più liberi, disinvolti, disinibiti al punto da preoccupare le gerarchie ecclesiastiche e i comunisti togliattiani. Nel cinema, sempre meno in bianco e nero e sempre più in un accattivante technicolor: western, cappa e spada, Tarzan, eroici marines contro diabolici giapponesi prima, maligni cino-coreani comunisti subito dopo. Nella cultura popolare e di massa: i fumetti, il romanzo poliziesco e, finalmente, la fantascienza. Anzi, fanta-scienza, col trattino poi perso per strada. La memoria mi riconsegna il ricordo della fine della fanciullezza segnata da un immaginario – il mio – vorace, ipertrofico e da nutrire costantemente. Lo alimentavo a dosi via via sempre più massicce di fumetti e di tanto, tanto cinema. Soprattutto di fantascienza e non solo b-movie: perché il grande schermo (insieme, per essere sinceri, a tanta monnezza) regalava storie inedite, protagonisti straordinari, contaminazioni originali ed emozioni, emozioni, emozioni. Che ora avevano le fattezze di giganteschi formiconi determinati a distruggere Los Angeles (Assalto alla terra, 1954), ora la faccia ambigua e fanatica di Walter Pidgeon, il professor Moebius del Pianeta proibito, 1956; oppure si annidavano nella ‘cosa’ amorfa, mezza umana, mezza vegetale che si aggirava per le vie di Londra seminando angoscia e panico (L’astronave atomica del dottor Quatermass, 1955). L’amore per la science fiction – ormai si chiamava così e, anzi, si indicava usando il suo acronimo inglese sf – pur perdendo d’intensità, si mantenne sino a lambire l’età adulta e scoprire che anche la generazione dei figli leggeva sf e, addirittura, ne scriveva. Collocato dal destino a vivere nella Toscana nord occidentale, tra l’Arno, le Apuane e il mare, mi capitò, infatti, di imbattermi in talentuosi narratori locali di sf, capaci anche di posizionare le ‘storie del futuro’ su scenari consueti, quotidiani, provinciali. Certo non numerosissimi, tra loro merita di essere ricordato Maurizio Antonetti, biologo, capannorese doc, radicato da sempre in quel di Segromigno. Autore spesso presente con i suoi racconti negli indici della prestigiosa – finché è durata – rivista Futuro Europa, coltiva la scrittura di sf da oltre un quarto di secolo con riscontri sempre positivi di lettori e di critica. Il suo l’ultimo libro risale al 2009 e si intitola Una domenica a corte di re Travicello – Compendio di paleoandrologia, dove si ipotizza un mondo prossimo venturo in cui, compiutasi un’incruenta e definitiva rivoluzione di genere, l’altra metà del cielo si è appropriata dell’intera volta celeste. Buffe, godili, divertenti le conseguenze di un tale ribaltamento di forze tra il genere maschile e quello femminile. Altro autore proveniente dalla scuderia di Futuro Europa, il lucchese Sauro Donati che si muove tra la sf e la fantastoria: ovvero, la storia com’è stata, ma illuminata da uno sguardo nuovo, particolare e capace di portare in superficie trame nascoste e relazioni impreviste. La fantasia dell’Autore riesce ad arrivare là dove i documenti storici non ci sono o non ci parlano più. Dopo due raccolte di racconti (Perchè non li mangiamo?, 2003 e L’anima della città, 2006) nel 2012 Sauro Donati vince l’importante premio ‘Penna d’autore’ con il racconto di un viaggio, un viaggio famoso, decisivo nella storia del mondo. Anzi, il viaggio per eccellenza: raggiungere le Indie navigando verso occidente, il progetto di Cristoval Colòn, ovvero Cristoforo Colombo. Cosa si nascondeva dietro quell’impresa destinata a mutare gli orizzonti e i destini dell’umanità? Senz’altro la passione scientifica e l’ansia di nuove conoscenze, ma anche formidabili interessi strategici e la sete di nuove, smisurate ricchezze. Forse, però, quel piano teneva celato un disegno ancora più vasto, concepito nel corso di vicende secolari di ferro e di fuoco, elaborato nel buio di conventicole di perseguitati, perfezionato in una delle corti più luminose dell’Italia rinascimentale, la Firenze del Magnifico Lorenzo.
Luciano Luciani