
Il libro più originale, fresco, godibile del 2018? Direi Fiori a rovescio di Stefano Tofani, alla sua seconda prova autoriale, pubblicato dalla casa editrice romana Nutrimenti. La storia di una famiglia toscana, – padre, madre due figli, una nonna – tra la fine del secolo breve e l’inizio di quello nuovo, quello globalizzato, che conduce la sua vita in un paesino, d’invenzione ma del tutto realistico, che l’autore colloca tra l’Arno, le Apuane e il mare. Una vicenda apparentemente semplice, ma percorsa sotto pelle da inquietudini, incomprensioni, zone d’ombra.
Un romanzo che racconta bene le cattiverie di sempre e le crudeltà recenti della nostra società, ma anche le sue straordinarie risorse di umanità, solidarietà e simpatia piena d’amore, a cui potremmo attingere se solo volessimo.
Di Fiori a rovescio ho ragionato col suo autore in un torrido pomeriggio di questa fine agosto.
Sei soddisfatto dell’accoglienza riservata al tuo secondo romanzo, Fiori a rovescio?
Più che soddisfatto direi che sono entusiasta: molti lettori, da ogni parte d’Italia, mi hanno contattato per dirmi quanto abbiano amato il libro, la storia, i personaggi. Non me l’aspettavo, è una cosa che mi ha fatto molto piacere. Mi è venuto in mente il giovane Holden quando dice: “I libri che mi lasciano senza fiato sono quelli che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Una sensazione che ho provato spesso da lettore, ma che mai avrei creduto di poter provare stando dall’altra parte. Da uno di questi contatti ne è scaturita anche una bellissima presentazione, alla Fondazione ‘Il sole’ di Grosseto.
L’editore mi ha confermato che su Fiori a rovescio c’è un bel passaparola: chi lo legge, poi lo consiglia o lo regala. E so che anche molti librai lo stanno suggerendo. Per quanto riguarda l’accoglienza della critica, ci sono state l’intervista/recensione sul Venerdì di Repubblica – a tutta pagina, una cosa fantastica – e svariate recensioni sul web, tutte molto positive. Senza dimenticare gli inviti al Bookpride di Milano e al Festival Letteratura di Salerno. Non si può mai essere soddisfatti, tuttavia, e spero in qualche altra recensione e in qualche altra presentazione: Nutrimenti, pur essendo una casa editrice molto seria, è una realtà indipendente, medio-piccola, quindi più si parla del libro meglio è. Chiudo parlando dell’invito che ho ricevuto al Festival di Mantova, il più importante evento letterario d’Italia, che si terrà dal 5 al 9 settembre. Sono stato chiamato a presentare il libro e a inventare un gioco letterario per bambini. Sarà un onore esserci. Oltre che una meravigliosa terribile emozione.
Anche in Fiori a rovescio continui a dipanare storie e personaggi dell’epica cuzzoliana. Ovvero di Cuzzole, un borgo toscano minimo, d’invenzione, ma assolutamente realistico, posizionato tra l’Arno e il Serchio, Pisa e Lucca. Luoghi geograficamente vicinissimi, ma altrettanto distanti per storia, cultura, convinzioni e abitudini… Tu, Stefano, ti senti più pisano o più lucchese?
D’impatto direi pisano, ma devo ammettere che Lucca col suo mix unico al mondo di bellezza e di difetti, ha attecchito eccome su di me. Mi ha geneticamente modificato. Tra l’altro, ora che ci penso, i capelli li ho persi tutti a Lucca. Ci abito da 15 anni e sono in quella fase che per gli amici pisani sono ormai lucchese, definitivamente perso, mentre per i lucchesi sono pisano dalla testa ai piedi. Roba da creare una crisi d’identità anche a Freud. Posso cavarmela rivendicando la mia assoluta, indiscutibile cuzzolesità? No, dai. Non vorrei passare per ex-democristiano. E ti dico pisano, mi sento più pisano.
Da dove nasce la tua sensibilità per personaggi minori, non particolarmente felici, né realizzati: gli umiliati gentili, i demoralizzati creativi, gli ‘stupidi’ sensibili…
Credo che nasca da una disposizione d’animo. Da bambino non mi interessava il cielo, mi piaceva osservare le formiche. Sono sempre stato attratto dal piccolo: se avessi dovuto scegliere tra un microscopio e un telescopio non avrei avuto dubbi. Poi, crescendo, dalle formiche sono passato a guardare i buchi delle serrature, che sempre piccoli sono. Quando ho cominciato a scrivere non potevano interessarmi i grandi personaggi, i forti, i vincenti, gli arroganti. Quelli che hanno tante certezze e pochi dubbi. Per i miei gusti hanno già fin troppo spazio (e voce). Sui social, in televisione, in parlamento. Dalle mie storie, visto che sono io a decidere, loro restano fuori.
Mi piacciono i gentili, soprattutto. I silenziosi, i timidi, quelli che stanno in disparte, quelli che come Bartleby lo scrivano preferiscono di no. Per me sono più interessanti anche da un punto di vista strettamente letterario: hanno più segreti, possono rivelare più sorprese. Cosa c’è dietro un comportamento strano, un rossore, un silenzio, un rifiuto? Mi piace osservarli con il microscopio, come le formichine mute dell’infanzia, e dar voce anche a loro. Diceva il poeta Giovanni Giudici: “Essenziale rimane essere duri / salvare la gentilezza”. Proviamoci, almeno in letteratura. Mi sembra quanto mai necessario, no?
a cura di Luciano Luciani