Terremoto, Mammini: “Serve programma serio e realistico”

“Bisogna ricostruire tutto com’era e dov’era. Bisogna ricostruire tra le pietre, le soglie e la gente che la abita. L’anima dei luoghi non si può cancellare. Né container né tendopoli”. Parole sul terremoto che ha colpito il centro Italia del senatore e architetto Renzo Piano che l’assessore all’urbanistica del comune di Lucca, Serena Mammini, riprende per argomentare una sua riflessione: “Come non condividere ciò che scrive Renzo Piano, che aggiunge ‘siamo eredi indegni di un grande patrimonio’. Vero, molto vero, siamo eredi più che indegni, ma dirlo a cosa può servire? Serve a ribadire, a ricordare, a tracciare di nuovo, l’ennesimo, rigo che separa il prima dal dopo. Sarà l’ultimo? E gli errori non sono serviti? E gli orrori sono finiti? No, perché non finiscono mai facendo essi parte della realtà, ma l’evitabile deve essere evitato”.
“Negli ultimi anni – prosegue l’assessore – non sono mancate tragedie nazionali come quella di questi giorni e siamo ancora una volta ai ‘buoni propositi’? Risulta che qualche passo avanti sia stato fatto: commissioni, analisi, studi, leggi, finanziamenti, forse ancora insufficienti, ma soprattutto spesi come? Le regole sono state rispettate? Mettere in sicurezza un paese come l’Italia forse è impresa impossibile, pensiamo ai delicati equilibri dei tanti borghi antichi, ma iniziamola una buona volta questa impresa, proviamoci! Perché a crollare sono stati anche gli edifici simbolo delle città, le scuole, l’ospedale che non sono di epoca medievale! Si legge che dal dopoguerra al 2012 la mancata prevenzione, le calamità naturali, lo scempio fatto in barba ai territori abbia causato danni per 240 miliardi di euro, quasi 3,5 miliardi l’anno. Banale dire che se avessimo iniziato prima non saremmo a questo punto, se i nodi fossero stati affrontati e qualcuno sciolto prima, sia a livello nazionale che locale, non ci troveremmo in questo stato. A pagare ancora le accise per il terremoto in Sicilia del 1968”.
Un invito alla concretezza, quello di Serena Mammini, che da amministratrice ben conosce i percorsi complessi per la costruzione, il consolidamento e la gestione della città pubblica. “Al clamore, alla disperazione, allo sconforto e ai tanti discorsi (compreso il mio) – prosegue – alle bolle d’aria di cazzate che in questi giorni oscurano l’aria segua un programma vero, serio, realistico, continuativo! Mi verrebbe da scrivere, con dispiacere cedendo al luogo comune, un programma di ricostruzione e messa in sicurezza che sia poco italian style, ma poiché credo che se l’Italia volesse potrebbe ancora evitare il deragliamento e poiché sono convinta che se facessimo squadra, se fossimo più uniti, potremmo davvero fare il salto di qualità di cui il nostro paese necessita, ecco, allora non lo scrivo. Quando però leggo – continua la Mammini – che la scuola (pubblica) di Amatrice nel 2012 era stata ristrutturata e adeguata alle vigenti norme antisismiche per mezzo milione di euro mi viene da vomitare. Non possono nemmeno dire che siano mancate le risorse, non possono nemmeno dare la solita trita risposta che la responsabilità è altrove”. Una riflessione che si fa amara rivolgendo il pensiero alle persone che hanno perso le vita: “E penso ai bambini di San Giuliano di Puglia, ai ragazzi e le ragazze della Casa dello studente de L’Aquila. E allora? La loro morte non è bastata nemmeno a evitare altri obbrobri? Quella lì è l’Italia brutta, la parte marcia, putrida e puzzolente che s’insinua nelle pieghe subdole dell’ipocrisia, della non chiarezza, della paura, nella metastasi delle relazioni finte, nella complicazione di una burocrazia autoreferenziale, di una politica litigiosa, egocentrica e immatura. Ci sono sacche malate, altre infette ma a fronte di queste altre sono sane, vive, altre ancora in via di guarigione”. Ma la denuncia dell’ineluttabile è un esercizio sterile. E allora Serena Mammini conclude stimolando l’autentico riscatto del possibile: “E allora dopo la profonda tristezza, dopo il consolidamento dell’emergenza, senza aspettare che cada il silenzio, saremo in grado di fare sul serio, sarà davvero l’ultima volta che piangiamo così tante vittime perché non eravamo pronti? E adesso è il momento di una nuova imponente ri-partenza di lungo raggio. Ha già un nome, Casa Italia: che sia costruita a regola d’arte. Se invece preferiamo, come troppo spesso accade, distruggere, neanche criticare, ma proprio demolire perché vergini ipocriti aspiranti a una ipotetica perfezione che, sappiamo, mai sarà, allora il compito sarà davvero difficile”.