Colucci ricorda Giorgio Mura: “Sempre in prima fila per aiutare gli altri”

18 novembre 2016 | 08:37
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Colucci ricorda Giorgio Mura: “Sempre in prima fila per aiutare gli altri”

Un uomo generoso, dedito agli altri e sempre pronto ad aiutare. Descrive così Giorgio Mura l’amico di sempre Francesco Colucci. L’ex direttore Apt ricorda così il consigliere comunale scomparso. E racconta di lui un aneddoto che ne riassume insieme le doti e l’indole. “Domenica sera 23 novembre 1980 un devastante terremoto distrusse il sud d’Italia: 600 paesi distrutti, circa 3.000 morti – racconta Colucci -. Il giorno dopo l’Usl di Lucca, di cui ero allora uno degli amministratori, organizzò una colonna di soccorsi, con una sala operatoria mobile, 47 fra medici ed infermieri, fra cui il nostro Giorgio Mura, una squadra attrezzata di vigili del fuoco e una di operai del Comune con i loro mezzi”.

“Con una scassata 500 di allora, Bullentini ed io, amministratori con delega all’ospedale, ci mettemmo in moto scendendo con questo corteo di uomini e mezzi lo stivale per arrivare il giorno dopo a Calabritto – prosegue Colucci -, completamente distrutto e con oltre 100 morti. I primi quattro giorni furono duri e difficili, il personale tecnico, i medici e gli infermieri, fecero miracoli lavorando giorno e notte, più notte che giorno visto il tremendo buio senza luce elettrica di un fine novembre umido e freddo. Poi finalmente arrivò l’esercito, con gli elicotteri, la cucina da campo le cellule fotoelettriche e la vita dei superstiti e anche la nostra migliorò, fino a farci considerare la possibilità di un ritorno a casa dopo una settimana di duro lavoro.
Il giorno fissato per il ritorno, un violento fortunale si abbatté sulle rovine di Calabritto e sul nostro campo, una fredda acqua scrosciante e una fitta nebbia ci impedivano di vedere e le operazioni di smontaggio e partenza furono veramente proibitive. Provammo a recuperare tutti per partire e affidammo ad uno dei medici il compito di contare tutto il personale sanitario che doveva salire sul nostro bus, mentre noi, con la nostra 500, facevamo avanti e indietro per far partire tutti gli altri nostri mezzi di soccorso impantanati, i pompieri e gli operai. La colonna si mise finalmente in moto e scendemmo a valle in una furia di acqua, freddo, vento e nebbia. Appena fuori del cratere del terremoto, trovando un Bar intatto, ci fermammo per far ristorare tutto il personale bagnato fino alle ossa e anche ricontare le quasi 100 persone del nostro convoglio. Con grande sorpresa dovemmo constatare che mancava un infermiere. Il medico nella confusione si era sbagliato nel contare il personale sanitario sul bus. Mancava Mura, che con quella generosità che ha sempre caratterizzato la sua vita, era tornato sotto il diluvio a verificare se non vi fossero allieve infermiere rimaste al campo e che tutte le attrezzature fossero state imbarcate sui mezzi. Nella confusione l’avevamo abbandonato là. Con un auto tornammo indietro e lo trovammo che si era incamminato a piedi, sotto il diluvio, per venirci dietro. Era ridotto una maschera di fango, un pulcino bagnato, incazzato nero. Gli spiegammo che il medico si era sbagliato a contare ed eravamo partiti. Non dico il nome del medico perché l’errore ci stava tutto, vista la situazione in cui operavamo e poi perché è divenuto oggi un medico importante e se vuole dirlo lo farà lui, visto quello che poi è successo. Perché appena arrivammo al bar dove ci aspettavano tutti, Giorgio schizzò dall’auto, entro nel bar e visto il medico gli affibbiò un gancio al mento che lo stese sul pavimento secco. La scena era tragica, ma dovemmo trattenere a forza un riso isterico: un medico steso a terra a pelle di leopardo e una specie di Ulk che non si riconosceva più tanto era coperto di fango e acqua, che lo guardava atterrito per quello che aveva fatto. Durante il viaggio di ritorno riuscimmo a calmare entrambi e così la vicenda poté essere recuperata senza provvedimenti disciplinari importanti e senza querele grazie anche al medico indulgente, che si rese conto dei duri giorni da cui venivamo, della situazione di Mura abbandonato nella tempesta mentre faceva con la solita generosità più del suo dovere”.