Casapound, per l’analisi non basta una festa in piazza

18 giugno 2017 | 08:33
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Casapound, per l’analisi non basta una festa in piazza

La verità, vi prego, sul fascismo.
Con una chiosa immediata: quello che è stato definito il secolo breve dallo storico britannico Eric Hobsbawm, così breve non è stato, se si porta strascichi a settant’anni dalla fine dell’ultima grande e tragica guerra mondiale.
Altra premessa doverosa: nel documentare quello che è diventato un vero e proprio caso, la festa di Casapound in piazza San Frediano fra cori e fumogeni, non mi è apparso di notare che si indulgesse nel saluto fascista da parte dei partecipanti. Se così fosse stato questo sarebbe stato inevitabilmente oggetto dell’articolo e anche oggetto di specifica domanda nella successiva intervista al neoconsigliere comunale Fabio Barsanti.
Ma quel video, quelle foto, anche indipendentemente dalla loro volontà, hanno avuto un effetto. Ed hanno occupato il dibattito politico dei primi giorni di campagna elettorale dopo il voto di domenica.

Sorvoliamo sul fatto se ci si possa dire fascisti nel ventunesimo secolo, se qualcuno lo dice o lo crede davvero o se è solo uno dei modi di esprimere una protesta antisistema in grado di intercettare il malumore di molti nei confronti della politica tradizionale Anche di più rispetto alla novità dell’ultimo decennio, il Movimento Cinque Stelle, che negli anni ha saputo interpretare il postideologismo dando una casa comune a sensibilità diverse, che storicamente si sarebbero definite di destra e di sinistra. A questo si sono uniti i movimenti cosiddetti sovranisti, che si sono identificati nel tempo con l’ascesa di Putin in Russia, dei Le Pen in Francia, di Trump negli Stati Uniti. Movimenti che puntano sull’identità nazionale, sull’antieuropeismo, sulla difesa dei confini, che sottendono alla creazione di un’economia chiusa, verrebbe da dire autarchica, in cui lo straniero, sia esso extra o comunitario, viene vissuto come un potenziale elemento di dissipazione delle risorse nazionali, oltre che capace di snaturare la cultura nazionale. Un modo diverso, visto da destra, di dire no ai processi della globalizzazione, ugualmente anticapitalista e con connotazioni vagamente sociali.
Sgomberato il campo dall’episodio in sé la questione è però diventata più ampia, al di là delle nostre foto e del nostro video, dove comunque qualcuno ha voluto vedere una riminiscenza del tempo che fu, stigmatizzandola. Perché alla fine al di là comportamento pubblico non è da escludere che i riferimenti culturali di molti di quel mondo, che ha ottenuto un successo elettorale incontrovertibile, possano essere o siano quelli del ventennio o della Repubblica Sociale Italiana. Tutto sta, quindi, al di là degli episodi, a capire se questa vocazione movimentista e latamente rivoluzionaria intenderà esprimersi o meno nell’alveo delle regole democratiche (che sia fascismo 2.0, 4.0 o del terzo millennio), fin qui, almeno a Lucca, suffragate dal voto popolare tanto da portare all’espressione di un consigliere comunale. Su questo, così come su certe espressioni verbali che hanno popolato i social network in queste settimane, che da qualche soggetto sono andate ben oltre la goliardia e il naturale dibattito politico, è lecito discutere, confrontarsi, esprimere le diverse opinioni. Al di là di una festa di piazza, al di là di una foto o di un video di pochi secondi. E magari interrogandosi su come e perché il movimento di destra ha intercettato e intercetta voti nelle periferie urbane, spesso togliendoli alla sinistra tradizionale, oltre che nel centro storico borghese e conservatore. Due fenomeni diversi, disagio e benessere, che guardano alla destra anche al momento del voto senza indulgere nell’ideologia.
E’ un dibattito sostanzialmente politico quello che è necessario avviare per capire e, per chi vuole, superare il “fenomeno” Casapound. A meno di non voler prolungare ulteriormente un secolo breve che così breve, evidentemente e purtroppo, non è stato.

Enrico Pace