Nottoli (Sinistra con Capannori), appello al mondo educativo e pedagogico

Enea Nottoli, insegnante, pedagogista, presidente, di una importante associazione pedagogica italiana e internazionale aderisce a Sinistra Con Capannori. E come primo atto produce un appello al mondo educativo e pedagogico in cui chiede attenzione sulla strage dei bambini durante le traversate migratorie.
“Da questo primo passo – spiega – vorremmo dar vita ad un appello nazionale e internazionale per attirare l’attenzione su questo grave fenomeno”.
“Il silenzio del mondo pedagogico ed educativo di fronte a questo scempio è inconcepibile – dice – ma allo stesso tempo giustificato da una storia lunga, sofferta e mai del tutto sopita. Non basta organizzare convegni, formazioni e continuare a scrivere libri sull’intercultura e la multiculturalità se poi non ci schieriamo rispetto a questi avvenimenti. Facciamo solo il gioco di chi diffonde populismo e lucra su queste tematiche. È inutile parlare di cura, di diritti dell’infanzia e di emozioni se poi permettiamo che il primo diritto inviolabile, quello alla vita, venga calpestato nell’indifferenza più totale. È inutile pulirsi la coscienza periodicamente con interventi spot andando a fare del bene a casa loro, magari portando qualche quaderno, due penne e un bel sorriso.
Abbiamo fatto annegare tre bambini, abbiamo fatto morire di fame altri tre bambini, abbiamo fatto morire altri tre bambini sotto le bombe e, alla fine, grazie a questa politica il nostro PIL è cresciuto. Il tutto in pochi minuti, anzi pochi secondi. Salvo poi accorgersi che era tutto falso”.
“Ripeto in continuazione ai miei alunni – prosegue Nottoli – che sono fortunati ad essere a scuola la mattina. Sia che abbiano famiglie agiate o meno, loro quella mattina possono passarla tra i compagni, la cultura e la noia; la loro campanella non li invita a ricercare un riparo dalle bombe ma spesso spezza la noia di una lezione insopportabile; sono arrivati a scuola in macchina o con il bus e l’unica onda da cui rischiano di essere travolti è quella dei compagni che li accolgono. L’unico rischio che corrono in quell’edificio tetro e odioso è di prendere un quattro o di essere maltrattati da una “sfilza di compiti” per il giorno dopo. No, scusate, il mondo della pedagogia e dell’educazione deve tirare fuori la testa dalla sabbia, guardarsi intorno e riportare il bambino al centro del proprio pensiero. Ma non a parole o all’interno della famiglia media di “razza bianca”. Lasciamo da parte convegni, libri e nazionalismi. Diciamo no a questa politica ottusa che fa differenze tra diritti dei bianchi e diritti dei neri, che lascia decine di bambini “sbattuti molto per terra e per mare”, nella speranza che un’onda anomala o le lungaggini burocratiche dell’accoglienza risolvano il problema”.
“Noi che siamo i portatori dei valori educativi – prosegue – che ci ergiamo ogni giorno a paladini e difensori dei bambini di ogni parte del mondo, abbiamo il dovere di intraprendere questa battaglia, questa si di democrazia, prendendo una posizione netta e forte. Ogni bambino morto è un bambino morto, sia esso italiano, austriaco, nigeriano, siriano, cinese, americano…
Dobbiamo avere il coraggio di schierarci, perché questa non è una battaglia politica, ma civile. Dobbiamo raccogliere tutti coloro che hanno voglia di dire basta a questo scempio, facendolo anche da posizioni forti e all’interno del proprio contesto. Abbiamo il dovere di parlare con le persone, i genitori e laddove possibile con i ragazzi, facendogli capire che difendere il diritto alla vita non è una questione di destra o sinistra, ma di civiltà universale”.
“Come insegnante, come pedagogista, come educatore e come essere pensante trovo necessario questo passo, trovo necessario andare a recuperare il nostro ruolo, quello che i politici di tutto il mondo temono molto. Non posso pensare che il futuro della civiltà sia questa deriva populista, ma so anche che non posso aspettarmi che tutto cambi senza intervenire.
Questi tre morti, così come i prossimi tre, non possono e non devono passare su di noi lasciando solo un generico rammarico. Non erano africani, siriani o asiatici, erano tre bambini. È da qua che dobbiamo ripartire”.