Politica, chi ha vinto non ha (sempre) ragione

1 luglio 2018 | 10:24
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Politica, chi ha vinto non ha (sempre) ragione

Nel dibattito politico, ormai da decenni, si trascina un errore di fondo. Che chi ha vinto abbia ragione. È un retaggio dell’introduzione del sistema maggioritario nelle elezioni politiche e in quelle amministrative, dalle regionali in giù. Da allora, passata la bufera di Tangentopoli e avviata la presunta Seconda Repubblica, e nonostante si sia ritornati al sistema proporzionale almeno per le elezioni legislative, colui che ottiene anche un voto in più dell’avversario ‘prende tutto’: maggioranza nelle istituzioni democratiche, per permettere una stabilità rispetto agli incerti del proporzionale, ma non solo. Il primo corollario del maggioritario, infatti, è stato lo ‘spoil system’. Chi vince, cioè, ha il potere di nominare persone vicine alla propria posizione politica nella galassia degli enti pubblici che servono a far funzionare (più spesso a rallentare) il sistema paese.

È questo che ha fatto pensare, a molti, che chi vince abbia sempre ragione. Perché chi vince, a un certo punto, intorno a sé ha solo persone che, per convinzione o per mantenere la propria posizione di visibilità o di potere, dicono sempre (o quasi) di sì. È questo che ha fatto pensare a Berlusconi prima e a Renzi poi di essere ‘immortali’, politicamente parlando. Di poter decidere e condizionare le scelte del paese senza avere opposizione interna, notoriamente quella più pericolosa. Condizione che, altrettanto chiaramente e repentinamente, ha portato poi all’emergere, dapprima sopiti e poi evidenti, di tanti di quei rancori da far crollare quell’architettura politica che avrebbe voluto, dopo il 4 marzo del 2018, un governo di larghe intese che avrebbe messo dalla stessa parte il Pd e Forza Italia.
Chi ha vinto in passato, evidentemente non aveva ragione. E non la aveva chi, senza pretendere un dibattito e un cambiamento di rotta visto il mutato sentire del paese, ha avallato le scelte di leader che avevano a quel punto basato la loro supremazia su un consenso non più reale, non più basato sulle risposte date agli elettori. Che, alla prima occasione utile (4 dicembre 2016) e per gli anni successivi, non ha mancato di ribadire che alcune scelte fatte non erano state condivise.
Giusto o sbagliato che sia, la truppa dei delusi si è ingrossata ed è andata ad ingrossare le file degli astensionisti prima e poi le truppe della Lega e del Movimento Cinque Stelle.
Ma questo non significa, adesso, che chi ha vinto abbia ragione. E che per lo stesso perverso meccanismo introdotto dal maggioritario ed aggravato da un’overdose digitale che indulge alla sterile autoreferenzialità e non certo al dibattito, al dialogo e alla discussione costruttiva, chi ha ottenuto la maggioranza per guidare il governo, le Regioni, le Province e i Comuni possa adesso fare carne di porco dei principi della democrazia e, a volte, anche di quelli del buon senso.
Quella che si respira, come in tutti i momenti in cui si cambia una maggioranza (e non è la prima volta che succede nella storia, ma non pare che dal 1948 ad oggi si sia verificata alcuna rivoluzione nel paese), è un’atmosfera di sottile voglia di vendetta e di rancore nei confronti di chi ha governato in precedenza. Non solo, anche di chi, avendo resistito al legittimo vento di cambiamento, continua ad esercitare le proprie prerogative.
E allora guai a sollevare una critica, un distinguo, una protesta. Perché il vento è cambiato, chi è all’opposizione deve tacere, perché ha perso. Perché chi ha vinto, si pensa, ha sempre ragione. Perché forte di una presunta maggioranza, che poi maggioranza, considerando anche le alte percentuali di astensionismo, non è mai.
Non è così, non sarà così. Chi ha vinto sarà chiamato legittimamente a governare e a far prevalere le proprie proposte politiche e amministrative. Chi ha perso ha diritto a protestare e ad opporsi perché siano le proprie tesi, alla fine, a prevalere. Senza censure e senza limiti che non siano quelli dettati dalle regole democratiche. Questo vale ora così come è valso in passato quando al governo c’era la protervia dell’intoccabilità berlusconiana o renziana.
Salvini o Di Maio, Cinque Stelle e Lega, così come Renzi e Berlusconi in passato, non cerchino quindi di accreditarsi di alcuna superiorità morale o politica. L’opposizione è un diritto, certe volte anche un dovere. E non passa dalle becere tifoserie dei social network dove regnano, per ora e si spera per poco non colpiti dalle normali regole dello stato di diritto, gli odiatori di professione e i violenti di indole. E chi la esercita, a livello locale, provinciale, regionale o nazionale, lo potrà fare a pieno diritto.
Chi ha vinto, chi vince, chi vincerà, non avrà mai soltanto ragione. E, soprattutto, non potrà mai limitare il benefico esercizio del dubbio.

Enrico Pace