Elezioni in Emilia, occhio a dare per scontato il voto delle ‘sardine’

27 gennaio 2020 | 15:23
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Elezioni in Emilia, occhio a dare per scontato il voto delle ‘sardine’

Bonaccini e Santelli governatori: contano i nomi, i programmi e la ‘moderazione’ dei candidat

Doveva essere uno spartiacque e così sarà.

Il voto in Emilia Romagna, che ha confermato alla guida della Regione Stefano Bonaccini con oltre il 50 per cento dei consensi, cambia in una sola notte il quadro politico pronosticato. E ferma quella che si pensava fosse un’onda inarrestabile del centrodestra a guida salviniana che avrebbe dovuto travolgere, dopo Bologna, anche le altre regioni rosse per poi portare alla conquista della guida del paese.

Ma il voto in Emilia Romagna e quello in Calabria hanno restituito un panorama diverso e tutto da analizzare, anche per evitare, in ciascuno dei due schieramenti analisi troppo semplicistiche, magari dettate dall’entusiamo o dalla delusione.

Innegabile, in primis, che ci sia stato un ‘effetto sardine’. Il movimento spontaneo partito proprio da Bologna con una contromanifestazione a un comizio del leader della Lega, ha sicuramente contribuito a una polarizzazione del confronto pro o contro Salvini. E quello che doveva essere un referendum a favore dell’ex ministro dell’Interno si è trasformato, almeno in questa occasione, in una bocciatura. Perché non solo ha perso il candidato voluto dall’ex vicepremier ma non si è confermato neanche il sorpasso verificatosi alle europee della Lega sul Partito Democratico, che resta il primo partito della Regione.

Certo, sarebbe sbagliato considerare scontato per il centrosinistra il voto delle ‘sardine’. I giovani, e meno giovani, che hanno dato vita a questo movimento di piazza, hanno detto chiaramente che, essendo apartitici e nati in epoca post-ideologica, non sono disposti a firmare cambiali in bianco nei confronti di nessuno. Coloro che, in questa tornata, hanno scelto Bonaccini potrebbero cambiare direzione in una futura consultazione se non convinti dal candidato proposto o dal programma elettorale. Non si tratta di un pacchetto di voti ‘scontato’, ma a disposizione di chi riuscirà a convincerli con programmi ambientalisti, di equità sociale, europeisti e non basati sull’odio dell’avversario.

Quindi, trasponendo lo scenario in Toscana, il candidato governatore Eugenio Giani non ha nessun privilegio in tasca. Anzi forse proprio perché rappresenta in un certo senso la ‘vecchia politica’ potrebbe paradossalmente rappresentare un modello del tutto opposto a quello vincente di Stefano Bonaccini. Un uomo di apparato, da lungo tempo chiamato a ricoprire cariche istituzionali, che non rappresenta certamente il cambiamento di rotta e l’invito a presentare volti e programmi nuovi che sottende all’attività delle ‘sardine’ di tutti i territori. Forse davvero, insomma, come ha fatto il centrodestra, da Pd e dintorni si sarebbe potuto attendere l’esito emiliano romagnolo per l’ufficializzazione della candidatura per il dopo Enrico Rossi.

L’altro dato interessante delle elezioni regionali di ieri è il peso dei partiti. Il Partito Democratico sia dove vince sia dove perde (in Calabria) è il primo partito regionale. Ma in realtà dove per ora non ha dovuto realmente confrontarsi con la scissione operata dai renziani e da Italia Viva. Anche in questo caso il dato, però, non può permettere di cullarsi sugli allori. Perché, come è evidente anche per la Lega, anche il Pd non può avere pretese di autosufficienza per governare un comune, una Regione o a livello nazionale. La capacità di allargare i propri consensi starà quindi proprio nell’allargare il ‘partito nuovo’ promesso da Zingaretti ad altre sensibilità ed alla famigerata e abusata (come espressione) società civile. Il voto è volatile, anche a pochi mesi di distanza, e voler capitalizzare le vittorie può essere, come è stato per Salvini, un anticipo di una possibile sconfitta. Anche l’aver immediatamente posto, da parte del segretario Pd, un’ipoteca sugli equilibri del governo Conte potrebbe essere una scelta affrettata e dettata dall’euforia del (mezzo) successo elettorale.

La Lega, sul fronte centrodestra, domina nei consensi di coalizione in Emilia Romagna, dove si rafforzano anche i Fratelli d’Italia mentre Forza Italia praticamente sparisce ed elegge un solo consigliere regionale. Ma laddove non cannibalizza l’alleato e presenta un candidato di area moderata, come in Calabria (dove i tre partiti tradizionali, FI, Fdi e Lega si equivalgono), riesce a convincere la maggioranza dei cittadini.

A conferma che la campagna elettorale condotta al limite, cavalcando per la gran parte tematiche come quelle della sicurezza (dalla citofonata al presunto pusher in giù) e dell’immigrazione o temi caldi come quello degli affidamenti familiari (“Parlateci di Bibbiano”) non sempre sono destinati a pagare in termini di voti. Semmai, come è successo, sono destinati a riportare in auge il bipolarismo, a tutto discapito del Movimento Cinque Stelle che, fra dissidi interni e difficoltà a livello nazionale, stavolta non è proprio stato della partita ed esce addirittura dal parlamentino calabrese.

In vista delle regionali e della tornata di amministrative in Toscana, dunque, la strada è tracciata: necessità di un candidato credibile, possibilmente ‘nuovo’; un programma elettorale convincente, inclusivo e in grado di coinvolgere diverse sensibilità e un atteggiamento non polarizzante della sfida, con toni che non indulgano all’odio e allo scontro ma all’individuazione dei problemi da risolvere e delle soluzioni.

Con oggi, quindi, inizia la campagna elettorale alle nostre atitudini. Inevitabilmente condizionata da quanto successo nella giornata di ieri. E non è escluso che, nei rimescolamenti inevitabili, se ne vedano delle belle. Non solo a causa delle ‘sardine’.