Il professor Angelini torna sulla scena e boccia tutti i candidati anti-Raspini: “Valida solo l’opposizione di Santini e Di Vito”

9 marzo 2022 | 19:45
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Il professor Angelini torna sulla scena e boccia tutti i candidati anti-Raspini: “Valida solo l’opposizione di Santini e Di Vito”

Lunga analisi della situazione politica, fra urbanistica, difesa dell’acqua lucchese e critiche a tutti: “L’assessore della giunta Tambellini destinato a vincere senza grandi meriti”

Il professor Angelini irrompe di nuovo nella situazione politica cittadina e non interviene solo sul tema dell’urbanistica (su cui torneremo approfonditamente domani) ma anche sulle prossime amministrative, anche alla luce del dibattito dei prossimi mesi. 

“La vicenda della manifattura Tabacchi ha avuto – spiega Angelini – importanti effetti sulla situazione politica lucchese, creando divisioni e separazioni difficilmente ricucibili. Martinelli (consigliere comunale, ndr) aveva preso lo spunto anche dalla vicenda della manifattura sud per prendere le distanze da Forza Italia ed era passato a Fratelli d’Italia, seguendo la linea della ricerca di compromessi con la maggioranza, tracciata, in Toscana, dal senatore Matteoli e condivisa da tutto il centrodestra: quella di una opposizione dura, fatta più spesso a parole, tesa però a trovar sempre accordi con la maggioranza sugli affari in corso (si deve sempre ricordare che l’operazione di acquisto dell’Antonveneta, che costituisce la causa prima della crisi del Monte dei Paschi e degli scandali che ne sono seguiti, aveva portato alla presidenza della banca acquisita un uomo del centrodestra, certo Pisaneschi, segno che l’intera iniziativa era stata fatta nel segno della spartizione tra centrodestra e centrosinistra), ma tesa anche a Lucca a ricercare e a produrre compromessi vantaggiosi con la maggioranza, dall’ospedale San Luca alla Manifattura Tabacchi (con la sola eccezione della Gesam, dove evidentemente non si era pervenuti ad un accordo)”.

“Recentemente, poi, il consigliere Martinelli – dice  accompagnato dal consigliere regionale Fantozzi, ha aderito a molte proposte della maggioranza, inserite da Tambellini e Mammini nel piano strutturale, in particolare a quella di chiedere di costruire un nuovo carcere, al posto del San Giorgio: a nostro avviso, si tratta ancora una volta di una ricopiatura sbagliata della politica dell’amministrazione, perché il nuovo carcere, che sarebbe, alla fine, un carcere di massima sicurezza e convoglierebbe a Lucca altri filoni di criminalità, di cui non si avverte assolutamente il bisogno, costituirebbe una struttura fatta per gli interessi di chi costruisce, non delle persone che vi dovrebbero essere recluse, che finiscono per essere rinserrate, ancora una volta, in strutture alienanti, costruite, appunto, secondo la logica del denaro e che, come abbiamo mostrato in altri tempi, purtroppo non del tutto mutati, hanno registrato, spesso, per la loro disumanità, un picco di carcerati suicidi. A mio avviso, come in tutti i casi dove si ha a che fare con strutture storiche e antiche, anche nel San Giorgio, che ha il vantaggio tra l’altro di trovarsi a poca distanza dal tribunale e dove ci sono ancora ampi spazi da utilizzare per politiche contrassegnate da intenti umanitari, si dovrebbe ricorrere al restauro e alla ristrutturazione, se si vuole davvero realizzare una sua rigenerazione, senza cedere alle lusinghe e agli interessi di chi, come l’amministrazione, lo vuole trasformare in un albergo a cinque stelle”.

“Ma anche i consiglieri Consani e Torrini (ora nel gruppo Lucca2032, ndr) avevano lasciato malamente la lista civica di SiAmo Lucca, soprattutto perché non soddisfatti dalla posizione di contrapposizione tenuta, anche sulla manifattura sud, dai consiglieri Santini e Di Vito. Avevano addirittura rimproverato alla giunta di aver abbandonato un progetto, come quello di Coima-Fondazione che, a loro avviso, avrebbe potuto rigenerare il centro storico e che meritava pertanto di essere riproposto dalla futura amministrazione di centrodestra. Ora i due hanno aderito alla proposta politica del candidato a sindaco Pardini, che, tuttavia, anche i questo caso, non ha preso posizione alcuna sull’argomento manifattura sud”.

Di qui l’analisi delle potenziali candidature in campo: “Per quanto riguarda il Pardini – inizia l’analisi – devo ammettere che, nei confronti della sua candidatura a sindaco, ho sempre avuto, se non un pregiudizio, una qualche riserva, dovuta, invero, non a lui, ma al sostegno datogli dal senatore Pera, che certamente lo conosce meglio di me, e che, fin dalle precedenti elezioni, lo aveva presentato come un ottimo candidato a sindaco della città. Pera, infatti, all’inizio del suo impegno politico nella città, si era impegnato a fondo in una sola battaglia politica locale, quella contro le famiglie lucchesi che, a suo dire, governavano, soffocandola, la politica locale e nazionale: i Carignani, i Martini, i Baccelli, gli Angelini, a cui i cittadini si erano affidati, a Lucca e a Roma, erano, in verità, le famiglie che si trovavano ai vertici della politica lucchese non per il loro patrimonio, ma per il fatto che a Lucca, come altre altrove, avevano guidato la Resistenza: oggi Pera, che evidentemente ha cambiato opinione, promuove politicamente e sostiene con convinzione l’ultimo rampollo di una di quelle famiglie che, al tempo della Resistenza, non avevano mai rischiato la vita ed avevano pensato soltanto ad arricchirsi. Un fastidio, il mio, che non si trasforma, però, in puro pregiudizio, dal momento che si accompagna alla constatazione che il candidato a sindaco Pardini, nonostante l’impegno ad attraversare tutto il territorio comunale e a sostare, poi, in ogni frazione e corte, per parlare con tutti ed avere così utili suggerimenti da dare alla città, non ha mai fatto parola di un suo programma elettorale, che pure dovrebbe aver acquisito, dopo queste migliaia di colloqui; non ha pronunciato parola alcuna, neppure, ad esempio, sul Mulino Pardini, disciplinato ora dal piano operativo, che ha dato ricchezza alla sua famiglia, ma ha lasciato in dote, al territorio, un vero e proprio mostro urbanistico. Nell’ultimo incontro pubblico da lui tenuto in città, diretto ad illustrare il suo programma elettorale, è riuscito a malapena a dare i titoli sconnessi dei bisogni dei cittadini (la mobilità, il traffico, l’accessibilità, la manutenzione stradale, la sicurezza, la qualità della vita ed il decoro urbano), dimostrando non soltanto di non avere un programma, ma di non sapere neppure in che cosa esso consista”.

“Uguali riserve e per gli stessi motivi (cioè quello di non avere e non presentare alcun programma elettorale) – prosegue Angelini – esprimo per quanto riguarda la candidatura di Luca Leone che per due mandati ha militato e condiviso, in tutto e per tutto, le stesse pesanti responsabilità politiche dei due sindaci Fazzi e Favilla. Leone, poi, quando è divenuto consigliere, insieme a me, nella prima amministrazione Tambellini del 2012-2017, ruolo, invero, svolto da lui saltuariamente perché impegnato come esso era nel preparare la sua carriera di lavoro, non ha mai espresso posizioni critiche sulle scelte fatte allora dall’attuale sindaco, né ha mai esposto posizioni programmatiche alternative, che, dunque, in cinque anni, non ha mai manifestato e che probabilmente non aveva e non ha neppure oggi”.

“Ci sono poi altre candidature a sindaco, alternative a Raspini – dice ancora Angelini – ma che si collocano politicamente fuori dal centrodestra. Così Elvio Cecchini, ex presidente dell’Ordine degli architetti, candidato delle lista civica Progetto Lucca: un candidato che non conosco a sufficienza per esprimere giudizi definitivi, anche se spesso l’ho sentito manifestare opinioni politiche che non condivido: in primo luogo, non ho mai compreso il suo giudizio sostanzialmente positivo sul piano strutturale approvato da Tambelini e Mammini nel 2017. Cecchini, infatti, a mio avviso, non si è mai reso conto delle gravi criticità di un tal piano, a cominciare dall’inserimento, fatto con disinvoltura ed inganni, da Tambellini e Mammini, all’interno del territorio edificabile, di più di un milione di metri quadri di territorio rurale; mi aveva colpito in negativo, poi, la sua presa di posizione, nel dicembre 2009, di sostegno alla politica di cementificazione dell’amministrazione, quando aveva sostenuto, insieme ai responsabili degli altri ordini professionali, da quello degli ingegneri, a quello dei geometri, l’interpretazione dell’amministrazione, del tutto illegittima, che i permessi a costruire potessero essere ancora rilasciati nelle Utoe dove si era di già abbondantemente sforato: posizione del tutto da respingere, anche se fatta verosimilmente, per un semplice errore, spero compiuto in buona fede”.

“L’altra candidatura, fuori dal centrodestra – dice Angelini – che in questi ultimi giorni sembra sempre più concreta è quella di Giorgio Del Ghingaro, attuale sindaco di Viareggio, che Colucci di Italia Viva e Remaschi, sindaco di Coreglia, dopo il successo da loro ottenuto nel rinnovo degli organi della Provincia, vorrebbero convincere a capeggiare a Lucca la lista di un terzo polo. Nel caso di Colucci si deve riconoscere, che egli è stato uno dei pochi politici locali, che si è dedicato con impegno ad elaborare un serio programma elettorale che dovrebbe costituire, appunto, il manifesto politico-programmatico del terzo polo. Si tratta, però, a mio avviso, di un programma incompleto, che presenta, sicuramente, molte tesi convincenti e condivisibili, soprattutto per quanto riguarda sia il sociale sia il turismo, sul quale ultimo settore Colucci vanta, giustamente, una lunga esperienza e competenza; ma che contiene anche lacune evidenti, su punti che io ritengo dirimenti: oltre alle scelte ondeggianti sulla manifattura sud, il programma è carente, per esempio, su alcune politiche centrali, come quelle del suolo e dell’acqua (dei lucchesi); inoltre anche lui, come quasi tutti gli altri, ha sempre avuto un atteggiamento di eccessivo riguardo e rispetto, talvolta di quasi rassegnazione, per quanto riguarda le politiche tenute di recente dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, anche quando sono state rivolte a realizzare obiettivi che aggravano i problemi della città: nessuno ha mai pensato o pensa, naturalmente, di negare l’autonomia della Fondazione (neppure nel caso di nomine di soci mirate soltanto al rafforzamento della presidenza), quando essa si muove all’interno delle competenze assegnatele dalla legge e dagli statuti; ma è invece dovere della politica intervenire e giudicare quando il geometra Bertocchini si è avventurato in operazioni, come è avvenuto per il solare e come stava per avvenire per la manifattura sud, che rischiavano proprio di comprometterne il patrimonio (che non è di Bertocchini, ma della città), e indebolirne l’autonomia, al solo scopo di favorire gli interessi di privati”.

“Ma ciò che rende debole il programma di Italia Viva è, soprattutto, l’atteggiamento politico di coloro che lo dovrebbero sostenere ed, eventualmente, realizzare, cioè del Ghingaro e Remaschi – dice il professore – Sulla opportunità di una candidatura di Del Ghingaro, che secondo Colucci sarebbe l’unico in grado di contendere a Raspini del Pd l’elezione a sindaco della città, non posso che esprimere, innanzitutto, delle riserve, che potrebbero essere condivise anche da molti elettori, chiamati a sostenere a Lucca la candidatura dell’attuale sindaco di Viareggio, riducendone il consenso presunto; infatti, serietà vorrebbe che chi si è candidato a sindaco ed è stato poi eletto, come è avvenuto per Del Ghingaro, in un comune importante come Viareggio, sentisse il dovere di terminare il suo mandato, senza cedere all’ambizione di pretendere posizioni di sempre maggior potere. Quanto poi ai suoi programmi elettorali, non soltanto neppure lui ne ha mai fatto parola, ma ha lasciato capire più volte che, per quanto riguarda il suo possibile governo della città, se davvero gli fosse attribuito dagli elettori lucchesi, egli vorrebbe essere del tutto libero di decidere, senza dunque sentirsi in alcun modo vincolato dalle proposte e dagli indirizzi politici espressi dai partiti, compresi, dunque, anche quelli contenuti nel programma di Colucci. Per quanto riguarda poi il rapporto di Del Ghingaro con la città, in mancanza di un qualche sua idea recente, rimane scontata la sua antica malevolenza per Lucca e la sua gente, dimostrata in particolare quando, come windaco di Capannori, si era impegnato a limitare notevolmente il traffico proveniente dalla Garfagnana e diretto, tramite viale Europa, verso l’autostrada, in modo da dirottarlo interamente sulla nostra circonvallazione. Del Ghingaro, però, secondo una leggenda anche da lui alimentata, ora ripresa da Colucci e Remaschi, sarebbe l’unico candidato in grado di superare sempre le situazioni apparentemente impossibili: oggi la candidatura di Raspini, a Lucca, come, nel 2004, quella dell’allora sindaco di centrodestra, Michele Martinelli, a Capannori, dove aveva avuto inizio la sua carriera politica; ricordo, però, che Martinelli, un fior di galantuomo che non aveva mai toccato un euro altrui e che era stato coinvolto ingenuamente, nel 2004, nelle manovre di un imprenditore, che voleva ingrandire la sua azienda, accusato dalla procura e messo poi agli arresti domiciliari, pur costretto a fare campagna elettorale dalle finestre di casa sua, vinse al primo turno le elezioni; perse soltanto al ballottaggio, dopo che una campagna mediartica lo aveva indebolito oltre ogni limite. Lo ricordo con affetto e rispetto”.

“Quanto al terzo polo, capitanato dal sindaco di Coreglia, Remaschi, che dovrebbe capitanare la lista del terzo polo, sarà pur composto, a detta di Colucci, da perfetti riformisti, ma alcune delle politiche, oggi praticate dal suo maggiore esponente, non ci lascerebbero vivere sonni tranquilli, se poi la gestione del nostro territorio passasse davvero anche nelle sue mani – commenta Angelini – Per chiarire questo punto devo ricordare che io sono il padre della legge 183/1989, sulla difesa del suolo e dell’acqua e, in pari tempo, sono il creatore del bacino sperimentale del Serchio, che, nel tempo, aveva assicurato al territorio importanti finanziamenti e maggiori controlli ambientali (ma, poi, era stato cancellato da Renzi, quando era capo del Governo, con il beneplacido della Regione, che l’aveva sempre contrastato e nell’indifferenza di Tambellini); avevo seguito e normalmente condiviso quasi tutte le scelte dell’autorità di bacino, fatte nel segno del rigore e del rispetto dell’ambiente, ad eccezione, in verità, di una, che avevo giudicato, invece, in modo molto critico: quella, cioè, di creare un’area industriale per il Comune di Coreglia, collocandola proprio nel mezzo dell’alveo del fiume Serchio; devo confessare che, per tanto tempo, sono stato tormentato dal dubbio se, per un scelta così sbagliata, si fosse trattato di uno stolido errore o di qualcosa d’altro. Oggi, a distanza di anni, dopo che la parte dell’alveo che guarda a Borgo a Mozzano è stata rinaturalizzata, il Comune di Coreglia si è impegnato a raddoppiare il volume dell’area industriale, con strutture alte circa 35 metri (solo la Torre Guinigi, a Lucca ne supera l’altezza di poco più di 10 metri): un affare che ha prodotto l’effetto collaterale di dissolvere l’opposizione, entrata in giunta con il suo capogruppo di minoranza, per condividere un programma di così alto interesse almeno per una parte della comunità coreglina. La Regione, se conserverà sui progetti locali un minimo di controllo, come previsto dalle norme della legge Marson, attualmente però sotto attacco in consiglio regionale, dovrà decidere se valgano ancora le sue prescrizioni sulla distanza minima da mantenere, per quanto riguarda le nuove costruzioni, dagli alvei dei corsi d’acqua, o se invece tali norme possano essere disapplicate quando si costruisce, come è previsto per Coreglia, all’interno dello stesso letto dei fiumi. L’assessore all’urbanistica Gonnella, nel frattempo (forse suo padre, l’ex sindaco Trento Gonnella, un galantuomo, mio stretto amico, si rivolterà nella tomba), ha tentato, invano, di rassicurare tutti, dal momento che si è impegnata a mitigare l’intervento con l’impianto di filari di alberi robusti, particolarmente alti. Sono sicuro che di questi illuminati riformisti, il Comune di Lucca, non ha assolutamente bisogno”.

In conclusione, gli unici consiglieri che hanno fatto una reale opposizione all’amministrazione Tambellini, sono i due consiglieri della lista civica di SiAmo Lucca, Santini e Di Vito; i quali, hanno portato avanti una contestazione della politica dell’amministrazione che presenta certamente anche alcune lacune (per esempio per quanto riguarda la tutela dell’acqua dei lucchesi) – dice Angelini – che magari avrebbe avuto bisogno di ulteriori approfondimenti e integrazioni, come noi abbiamo talvolta suggerito, anche in questo nostro intervento, ma che costituiva nel suo insieme l’unica base necessaria e sufficiente per presentare un programma alternativo, comprensibile da parte degli elettori e probabilmente vincente: una candidatura di opposizione si propone soltanto partendo da chi l’opposizione l’ha fatta, non da chi ha filtrato a lungo e senza ritegno con chi ha esercitato il potere. Il trattamento offensivo e umiliante riservato alla candidatura a sindaco di Santini da parte dei partiti del centrodestra, impegnati alla ricerca di candidati alternativi, belli o forzuti, ma senza una proposta e un programma convincente (né autori di fatti politici capaci di accreditarli, in loro mancanza), lo hanno costretto al ritiro ed hanno spianato la strada alla vittoria di Raspini. Succederà quello che è già avvenuto, tempo fa, a Milano, dove i moderati hanno votato Sala, preferendo l’originale alle pallide copie dei suoi avversari di centrodestra, che pretendevano di essere sostenuti per realizzare lo stesso programma di interventi insostenibili, che il primo, in coppia con le società di Catella e compagnia bella (come avviene Lucca), stava già realizzando nel centro di Milano, a Porta Nuova. Accadrà, insomma, nelle prossime elezioni amministrative, quello che, a Lucca, qualche settimana fa, è già accaduto nel caso della consigliera Serena Borselli di SiAmo Lucca, che ha deciso di entrare, presentandosi proprio come un politico di centrodestra, in una lista di appoggio alla candidatura del moderato Raspini, del tutto felice di accoglierla nella bella compagnia che ha saputo costruire; in questo passaggio, la Borselli, invero, ci ha messo anche del suo, rimproverando ai consiglieri di centrodestra, che abbandonava (che pure lavorano duramente e con serietà per sbarcare il lunario), di pensare alle poltrone anziché avere a cura l’interesse della società il tutto per sostenere un candidato che è in permesso dal suo lavoro ben garantito, lasciato alle cure dei suoi meno fortunati colleghi e tiene il suo prezioso sedere, da quasi 10 anni, sulla poltrona ben retribuita di assessore, e che si prepara a sedersi per altri 10 anni su quella di sindaco, al quale, ora il governo, con il concorso dei 5 Stelle, ha deciso ai attribuire uno stipendio di circa 10mila euro mensili, non molto diverso da quello dei deputati, dai grillini, un tempo, tanto contestato”.

“I tre temi programmatici su cui Santini e Di Vito hanno fatto le loro battaglie isolate – prosegue Angelini – e avversate dai colleghi del centrodestra, sono state, innanzitutto, quella contro la donazione gratuita, a Coima – Fondazione, dell’area della manifattura Tabacchi sud, fatta per di più dall’amministrazione, come abbiamo dimostrato, con omissioni, artifici ed inganni, che la parte migliore della città aveva ben compreso, tanto da portare avanti una battaglia sulla quale Tambellini e la Mammini avevano dovuto cedere, dovendo riconoscere che mancava un interesse pubblico per realizzare a tale sfacciato disegno. Accanto a questa battaglia, però, Santini e Di Vito avevano incalzato l’amministrazione sulla gestione complessiva dell’uso del suolo, per me altra questione dirimente; Di Vito, in particolare, è stato l’unico, che in Consiglio e nella città, ha criticato la politica dell’amministrazione, che non ha seguito gli indirizzi della legge Marson (legge regionale 65/2014) che impegnava a limitare drasticamente, negli strumenti urbanistici da approvare, il consumo di suolo. Il consigliere Di Vito è riuscito a mettere in luce, in Consiglio, la straordinaria continuità della politica urbanistica dell’amministrazione, la quale, ieri nel piano strutturale (come da me ampiamente dimostrato), oggi nel piano operativo, ha destinato a funzione edificativa molte aree che, secondo la legge urbanistica regionale, avrebbero dovuto essere conservate come aree rurali. Santini e Di Vito, in particolare, hanno sempre ritenuto che la candidatura di Raspini andasse contrastata, perché espressione di quella politica di privatizzazione e centralizzazione dei servizi, dal trasporto urbano, alla gestione dell’acqua e dei rifiuti, che Tambellini, con il traino di Raspini, ha seguito pedissequamente in tutti questi anni. Mi ha colpito particolarmente l’acquiescenza di Tambellini alla politica regionale per l’acqua (lui che pure si era esposto, gabbando i locchi, dicendo di condividere, pienamente, la linea politica dell’acqua pubblica, approvata con referendum; ma già prima, nel 2012, quando eravamo entrambi candidati a sindaco, Tambellini aveva sostenuto la necessità, una volta divenuto sindaco, di abbattere lo Steccone, gabbando questa volta Clara Mei, che, allora, aveva creduto ingenuamente ai suoi inganni): con il suo sostegno pieno all’ approvazione di una legge, voluta da Rossi, che, se attuata, avrebbe affidato la gestione dell’acqua ad un gestore privato, con la conseguente perdita secca, tra l’altro, dei circa due milioni annui, per la vendita, da parte di Lucca, dell’acqua a Livorno e con l’umiliazione, accettata allegramente da Tambellini, di ricoprire la carica di vice del sindaco di Livorno (fin a quando quel Comune non sarà conquistato dai grillini), che gode della nostra fornitura d’acqua, nella gestione del sotto bacino della Toscana Nord. Ma, per quanto riguarda la difesa dell’acqua di Lucca, ci sarebbe ancora molto da dire. Mi ha stupito, per esempio, che nessuno abbia mai protestato contro la Regione, che, prendendo spunto dalla direttiva europea emanata per combattere semplicemente le alluvioni, si sia presa la competenza e la proprietà di tutti i corsi d’acqua, compresi i fossi che circondano le Mura, costruiti e sempre gestiti, in tutti questo secoli, dai lucchesi. Un altro punto che non mi è mai risultato chiaro e che sarebbe necessario approfondire meglio è la gestione delle risorse, incamerate dal Comune, per la vendita degli asset di sua proprietà, che solo per quanto riguarda Salt e Polis aveva superato, negli ultimi anni, i 20 milioni. Ricordo che la vendita delle azioni Salt, per 16 milioni, fu fatta dall’amministrazione e votata in Consiglio, sul presupposto, garantito dal sindaco, che la concessione alle società di Gavio non sarebbe stata rinnovata; una tale previsione del tutto cervellotica è stata smentita un mese fa, quando il governo ha prorogato la concessione autostradale della Sestri Levante-Livono di altri 11 anni. Naturalmente il problema delle quote Salt non era stato mai visto, dai nostri padri politici (i capi delle famiglie lucchesi, da cui derivo), come un semplice investimento finanziario; esso era stato effettuato per esercitare e mantenere una certa influenza sulla politica della viabilità in Italia, a cominciare dal raccordo di Modena con Livorno (una viabilità normale, non autostradale, vagheggiata malamente solo da Pera); se un tale raccordo stradale tra Modena e Livorno fosse stato realizzato, questo avrebbe voluto dir molto per l’economia e il benessere del paese: Sassuolo, per esempio, centro nevralgico del paese per i prodotti della ceramica, non sarebbe stato lasciato solo, in balia ora della concorrenza cinese, che l’ha quasi azzerato: dimostrazione del fatto come il calcolo meschino di potere della sinistra di allora, di contrastare le scelte fatte da Lucca, impedendo il collegamento tra Modena e Livorno (a vantaggio di quello realizzato da Firenze) hanno penalizzato, alla lunga, non solo la nostra città e la Garfagnana, ma l’interesse economico del paese. In conclusione, io credo che l’unica piattaforma politica su cui un’opposizione a Raspini avrebbe potuto sostenersi, con fondate prospettive di successo, fosse, realisticamente, proprio quella rappresentata da Santini e Di Vito: intorno ad essa i vari attuali candidati avrebbero dovuto raggrupparsi, perché la candidatura a sindaco non è un concorso in cui i cittadini sono chiamati ad apprezzare la freschezza e la bellezza del candidato, né una prova di forza di un candidato che tutto sa e tutto decide, ma un percorso duro, che fa appello, oltre che al cuore, al buon senso e alle evidenze della ragione. Anche Colucci, che è un amico che stimo, dovrebbe riflettere se, oggi, quando al terzo polo è riuscito a recuperare anche la straordinaria Buonriposi, non stia facendo gli stessi errori di cinque anni fa, con scelte che indeboliscono l’unica alternativa a Raspini, seguite poi, come è avvenuto con Tambellini, da un appoggio all’amministrazione che ne uscirà, senza che nessuno gli sia neppure riconoscente per un sostegno”.

“Se le forze in campo di centrodestra, dopo un penoso dibattito – conclude Angelini – non sono ormai riuscite arrivare ad una tale conclusione, è pacifico che Raspini diventerà, senza grande merito, sindaco di Lucca, con una operazione che, come detto, mutua quella fatta a Milano dal nuovo sindaco Sala; non sappiamo se l’operazione di cementificazione della manifattura sud, nello scenario preparato dal Comune, partirà ora o dopo le elezioni; da subito partiranno, però, le pressioni di Coima – Fondazione per presentare l’iniziativa sotto il segno della rigenerazione e dello sviluppo compatibile. Le pressioni che proverranno dalla Fondazione, attraverso gli uomini ormai legati a Coima da una rete invisibile, ma resa solida dalle vicende di questi ultimi anni, creeranno i presupposti della vittoria di Raspini. Le responsabilità politiche per una tale operazione sono certamente di Coima; le maggiori sono però della Fondazione, che ha ripetuto questo pericoloso esperimento di un investimento non solo sbagliato ma anche pericoloso nel caso della manifattura tabacchi sud. A nostro avviso, la Fondazione, nel portare avanti la sua iniziativa sull’area della manifattura sud, aveva, nei confronti della città, almeno il dovere di chiarire a chi, poi, dovesse finire per essere attribuita la proprietà di una struttura così importante per il futuro del centro storico e della città, perché, come è noto, soltanto il proprietario ha il diritto di presentare al Comune un piano attuativo, con il contenuto previsto nella variante al yegolamento urbanistico, di recente approvata. Non solo non lo ha fatto, ma ha proposto al Comune, che l’ha allegramente accettata, una disciplina, contenuta nell’articolo 6 della convenzione, a tenore della quale la proprietà possa essere attribuita non soltanto al concessionario Coima, come è ormai noto e risaputo, ma ai possibili soci della Società di progetto, nella quale lo stesso concessionario, a norma del’articolo 7 della Convenzione, può inserire chi esso voglia. Infatti, la bozza di convenzione, mai messa in discussione da Tambellini e soci, dopo aver riaffermato, al comma 3, il valore di 3,2 milioni di euro attribuito all’intera area della Manifattura sud, permetteva al concessionario, cioè a Coima Sgr, di assegnare l’intera area “ad uno dei soci della società di progetto, di cui al successivo articolo 7”. La Fondazione ha dunque la responsabilità di aver convinto il Comune a cedere la proprietà dell’area della manifattura sud a chiunque Coima voglia e a proporre poi alla città, con il piano attuativo una rigenerazione dell’area fatta secondo la logica del suo interesse”.