Mallegni scrive a Draghi: “È venuto in Senato a farsi cacciare, non possiamo accettare che faccia la vittima”

Il senatore di Forza Italia: “Il momento di rottura con il parlamento è stata la mancata elezione a Capo dello Stato”
Una lettera aperta al premier dimissionario Mario Draghi. L’ha scritta il senatore di Forza Italia Massimo Mallegni con l’obiettivo di ricostruire le ultime ore del suo governo e anche di rifiutare il ruolo di ‘vittima’ che l’ex presidente della Bce si sarebbe ritagliato. La riportiamo integralmente, sottolineandone alcuni passaggi chiave.
Caro Presidente,
mai avrei pensato di doverle scrivere questa lettera, perché ho sempre sperato che una persona della sua levatura non potesse cadere in tranelli o, come qualcuno, addirittura narra “ne costruisse”.
La percezione è che lei sia venuto in Senato per farsi “cacciare”.
Ripercorriamo i fatti: prima ha provato a spiegare al Presidente della Repubblica che la sua maggioranza non c’era più e che non avrebbe potuto proseguire nell’esperienza di Governo.
Poi, trovatosi di fronte ad un serio custode della Costituzione, è dovuto venire in Parlamento – luogo per lei tra l’inutile e il superfluo – per spiegare a chi le aveva già dato ben 55 Fiducie che era “venuta meno la maggioranza di unità nazionale”, che “lo spirito repubblicano del Governo” non c’era più, il voto dei 5 Stelle di giovedì in Senato aveva causato “la fine della maggioranza”, un fatto che lei non poteva ignorare “perché potrebbe ripetersi”.
In altre parole, prima ha messo al bando i 5 Stelle dalla sua maggioranza. Poi, per non avere la preoccupazione di avere il pieno sostegno del centrodestra di governo (Forza Italia e Lega), ci ha rimproverato di aver bloccato l’attività parlamentare entrando nel merito dei provvedimenti che il governo ha licenziato a raffica negli ultimi 18 mesi.
Ma per lei ancora non era sufficiente ed ha voluto essere più preciso aggiungendo: “Purtroppo, con il passare dei mesi, a questa domanda di coesione che arrivava dai cittadini le forze politiche hanno opposto un crescente desiderio di distinguo e divisione.”
Ci ha quindi accusato di “sfarinamento della maggioranza sull’agenda di modernizzazione del Paese”.
Quello che lei ha definito “sfarinamento”, Presidente Draghi, noi lo chiamiamo dibattito parlamentare, confronto, approfondimento, senso di responsabilità nei confronti delle persone reali, vere, non quelle che lei incontra nei salotti buoni della Roma papalina.
Che cosa avremmo dovuto fare?
Consentirle di tassare in modo sproporzionato le nostre case, con la sua nuova idea di catasto? Mai!
Consentirle di non fare neppure quella modesta modifica, per noi ancora del tutto insufficiente, della riforma del Consiglio superiore della Magistratura?
Lei ha troppi magistrati nel suo staff…
Consentirle di distruggere 30000 imprese balneari?
Perché qualcuno tra i suoi “consigliori” voleva cacciare famiglie e dipendenti, circa 1 milione di persone, donne e uomini lavoratrici e lavoratori dalle aree in concessione?
Mai!
Si è anche permesso di imputarci la volontà di “fiaccare l’opposizione del governo italiano al disegno del Presidente Putin” sull’Ucraina! Una cosa inaccettabile sotto ogni punto di vista. Forza Italia ha difeso sempre la posizione del Governo votando tutte le risoluzioni sulla Guerra in Ucraina e non solo.
Ha poi messo la parola fine alla sua maggioranza dicendo “Il desiderio di andare avanti insieme si è progressivamente esaurito e con esso la capacità di agire con efficacia, con tempestività, nell’interesse del Paese”.
Ma c’è stata una frase che mi ha rinfrancato: “L’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire da capo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità”. Credevo fosse un’apertura, una nuova chance. Anche perché, dopo aver snocciolato cifre e impegni passati e futuri ci ha ulteriormente stimolato dicendo: “All’Italia non serve una fiducia di facciata, che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi. Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese. I partiti e voi parlamentari – siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito?”.
Con amarezza e con profondo rammarico, ho dovuto però constatare che mi sbagliavo. Il suo e il nostro destino erano già tracciati. Da lei, Signor Presidente.
Lo abbiamo capito dalle ultime quattro righe del suo discorso quando ha detto: “Siamo qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Questa risposta a queste domande non la dovete dare a me, ma la dovete dare a tutti gli italiani”.
Con queste parole, lei ha voluto chiudere la sua esperienza di Governo.
In ogni caso, nonostante le offese, i richiami e le piccate precisazioni, Forza Italia, Udc e Lega hanno colto con senso di responsabilità il passaggio del suo discorso in cui chiedeva di “rinnovare il patto di Governo” ed abbiamo immediatamente presentato una risoluzione che diceva: “Il Senato, atteso che nella seduta del Senato del 14 luglio una forza politica della maggioranza non ha partecipato alla votazione sulla questione di fiducia posta dal Governo sul decreto-legge “Aiuti” preso atto che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha rassegnato le dimissioni, che non sono state accolte dal Presidente della Repubblica; considerato che il Presidente del Consiglio è stato invitato a rendere comunicazioni al Parlamento: rilevata la necessità che tra i rappresentanti delle forze politiche facenti parte della compagine governativa siano compresi esclusivamente quella espressione dei partiti che hanno votato a favore della fiducia nella citata seduta del Senato del 14 luglio; ritenuta essenziale e non rinviabile una netta discontinuità nelle politiche e nella composizione dell’esecutivo; considerate le premesse parte integrante e vincolante della risoluzione, è disponibile a continuare a dare il proprio contributo per risolvere i problemi dell’Italia con un governo profondamente rinnovato rispetto agli indirizzi politici e nella propria composizione”.
Come tutti possono leggerle, una risoluzione che ha seguito le sue richieste e che apriva ad un proseguimento della legislatura con lei a Capo del governo con ritrovato slancio e coesione.
Ebbene, Presidente, dopo aver “preso ordini” dal Pd di Letta il giorno prima a Palazzo Chigi, invece di aprire alla nostra soluzione, ha voluto ostinatamente far votare la fiducia sulla risoluzione Casini. Un documento che si limitava ad approvare le sue comunicazioni, infischiandosene totalmente delle nostre raccomandazioni e della nostra disponibilità.
A questo punto, diciamo agli italiani come stanno le cose.
Come lei ha ricordato, la maggioranza è caduta perché i 5 Stelle hanno fatto mancare l’appoggio alla fiducia il 14 luglio scorso.
A quel punto lei si sarebbe trovato con una maggioranza composta da un centrodestra che avrebbe dettato l’agenda di governo e anche il Pd non lo avrebbe mai accettato.
Inoltre, lo stesso Pd non avrebbe più potuto tentare un accordo con i 5 Stelle per le prossime politiche, perché da quel momento avrebbero fatto opposizione.
Infine, caro Presidente, franchezza per franchezza, noi sappiamo bene qual è stato il momento di rottura con il Parlamento: la mancata elezione a Capo dello Stato.
Era questo il suo accordo con la nomenclatura romana! Credevamo che l’interesse nazionale venisse prima di tutto, che fosse indispensabile proseguire l’azione del governo avendo lei alla guida. Questo era per noi lo spirito di servizio di cui lei stesso ha parlato.
Invece ci siamo sbagliati e lei, grazie a quei pazzi scellerati dei 5 Stelle, ha tolto il sassolino dalla scarpa nel momento meno opportuno.
Caro Presidente, il suo prezioso lavoro alla Bce e al governo del Paese non sono in discussione e per questo non possiamo che ringraziarla. Ma non possiamo accettare che lei faccia la vittima laddove è evidente che è il carnefice più degli italiani che dei partiti.
In ogni caso non si preoccupi troppo, tra un paio di mesi, appena vinte le elezioni, il centrodestra governerà e lo farà bene, anche senza di lei.