Rapporti fra politica e magistratura, Pasquinelli (Lega): “Avanti con la separazione delle carriere”

Per il consigliere comunale e capogruppo in Provincia necessaria anche la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti e una legge elettorale di tipo proporzionale
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione pdel consigliere comunale della Lega, Armando Pasquinelli, sul rapporto fra politica e magistratura.
In merito allo scoop de Il Tempo che ha portato alla luce come una componente, per fortuna minoritaria, della magistratura abbia la volontà di fare politica contro l’attuale governo, osservo quanto segue.
Giustamente, dopo venti anni di fascismo, i Costituenti vollero il potere giudiziario completamente libero, indipendente, ed autonomo da ogni possibile intromissione sia dell’esecutivo che del Parlamento, con l’unico fondamentale limite che il giudice fosse solo sottoposto alla legge.
Questo l’unico vero dogma laico che la magistratura è tenuta a rispettare.
La Costituzione, infatti, concede ai magistrati il potere immenso di giudicare, quasi fossero dei sacerdoti laici della Repubblica, ma di conseguenza non gli altri poteri, come il fare le leggi, che spetta al Parlamento o emanare atti amministrativi di gestione della cosa pubblica che spettano al Governo.
La Repubblica produce ed impone a tutti il rispetto delle proprie leggi. Ne ha l’autorità e la forza di farlo sul proprio territorio realizzando così il proprio scopo. Questo è l’assunto che rende la Repubblica veramente libera e sovrana.
Tanto è vero questo principio che anche l’articolo 1 della Costituzione afferma che la sovranità spetta al popolo che appunto la esercita nelle forme e nei limiti della legge. Il popolo è l’unico soggetto legittimante il “sistema” ma esso stesso è sottoposto alla legge così come scaturisce dalle norme della Suprema legge.
La magistratura, quindi, in ossequio al principio della separazione dei poteri che pervade la nostra Carta, ha per ragioni proprie del proprio ufficio, il solo compito di applicare la legge; esercizio che svolge secondo criteri di ermeneutica stabiliti nel tempo dal legislatore e dal concorso congiunto della dottrina e della giurisprudenza.
Questo è il lavoro dei magistrati che riuniti nel Consiglio Superiore della magistratura, organo di autogoverno amministrativo ed espressione della più totale autonomia, sono tenuti a svolgere.
Applicare la legge, punto. Se ci pensate un potere immenso e dotato delle opportune guarentige proprio perché debba e possa essere esercitato nella più totale imparzialità.
Questo potere, in estrema sintesi è pensato e voluto dal costituente per completare il ciclo democratico che promana dal Popolo (Sovranità), attraverso il Parlamento (Legge), l’Esecutivo (Governo) e Giudiziario (Giustizia).
Appare alla luce di queste considerazioni elementari che nel nostro sistema costituzionale sia impedito al potere giudiziario di fare politica semplicemente perché contrario al principio della separazione dei poteri ed al proprio mandato costituzionale.
Il fatto, quindi, che un importante magistrato della Corte di Cassazione abbia “chiamato alle armi” la propria corrente di Magistratura democratica contro il governo attuale, risulta essere di una gravità inaudita, un vero e proprio atto eversivo dell’ordine costituzionale.
È intollerabile che chi deve essere terzo per dovere professionale possa anche solo pensare certe cose, poi scriverle per organizzare una lotta politica ad un organo costituzionale (Governo) eletto democraticamente nelle forme volute dai costituenti, rasenta il reato di attentato alla Costituzione ai sensi dell’articolo 283 del codice penale.
Il richiamo del Presidente Mattarella alla collaborazione tra le Istituzioni se da un lato appare di rito, dall’altro manifesta tutta l’insufficienza a garantire un corretto rapporto tra poteri.
È un dato di fatto che i rapporti tra politica ed il potere giudiziario sono incrinati da tempo, fin dalla stagione di tangentopoli, dove ritengo si sia attuato un vero e proprio golpe giudiziario a danno del sistema politico della cosiddetta prima Repubblica.
In quei tempi nasce e si sviluppa in modo abnorme il cosiddetto circuito mediatico giudiziario che in barba ad elementari principi di garanzia dell’individuo (ad esempio la carcerazione preventiva usata al fine di coartare l’indagato a confessare, i numerosi suicidi) portava a condanne ancor prima dell’inizio formale dei processi, spesso finiti in modo diverso per gli imputati poi assolti, ma con la carriera politica devastata.
In quella temperie culturale un Parlamento messo alle corde dalle indagini rinuncia alla immunità parlamentare così come concepita dall’articolo 68 della Costituzione, vulnus tutt’ora vigente che disarticola i rapporti tra i poteri, e permette a cinque magistrati cinque di Milano di abbattere un sistema politico che aveva governato in Italia dal secondo dopoguerra, salvando gli eredi del partito comunista e la corrente democristiana di sinistra, magicamente esentati dalle indagini.
Non bastò questo trattamento di favore ad Occhetto ed alla sua gioiosa macchina da guerra perché gli italiani gli preferirono Berlusconi e le sue alleanze.
Da allora la Politica anche per sua colpa non ha più saputo riprendere il ruolo centrale che le spetta.
Con la soppressione di fatto del finanziamento pubblico ai partiti, leggi elettorali che impongono la scelta forzata tra due coalizioni, che il tempo ha dimostrato assolutamente incapaci di costruire una alternativa nel reciproco rispetto, si sono create le basi del disfacimento del principio di rappresentatività. Infatti, oggi vota a malapena la metà degli aventi diritto.
La nostra è una Costituzione che pone al centro del sistema il Parlamento perché è in quella sede che si esplica, secondo il principio della delega, la Sovranità riconosciuta al popolo.
Quella centralità, viceversa, da allora l’ha conquistata nel suo complesso il sistema giudiziario che, però, non è eletto dai cittadini ne’ i suoi membri, che sono individuati attraverso un semplice concorso pubblico, sono sottoposti a significativi controlli da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.
Nessuno vuole toccare questa intangibile guarentigia ma come sta scritto in Costituzione “La Giustizia è amministrata in nome del Popolo”; sarebbe il caso che del Popolo venissero rispettate le decisioni politiche parlamentari e che questa esondazione in campi altrui terminasse una volta per tutte perché ora, se ad un magistrato una legge non piace non solo trova il modo di non applicarla ma non di rado la rifà, con buona pace del principio della separazione dei poteri.
È altresì evidente la contiguità politica di Magistratura Democratica al Pd e non sfugge ai più, che la sentenza sui profughi fatti ritornare dal Cpr in Albania non è che un obiettivo mediato, essendo il vero vulnus temuto da parte dei magistrati, la riforma della Giustizia del Ministro Nordio che dovrebbe prevedere la separazione delle carriere tra PM e Giudicanti.
Si teme forse l’esito della volontà popolare del futuro referendum costituzionale che certamente si terrà all’esito della riforma suddetta? Questo, a quanto pare, è quello che paventa il Sostituto Procuratore in Cassazione, Patarnello, quando afferma che il consenso della magistratura è in calo tra i cittadini.
È storia lontana che già il PCI ai tempi di Berlinguer, cavalcando l’onda giustizialista contro gli eccessi della partitocrazia (la famosa questione morale), abbia utilizzato l’uso politico della giustizia, come una clava contro i governi considerati nemici.
Lasciamo perdere la deriva moralistica dei furono cinque stelle che hanno fatto della demonizzazione degli avversari politici un sistema di lotta politica basato sugli avvisi di garanzia.
Intere carriere basate sull’odio giustizialista per poi partorire ahinoi, i due più colossali provvedimenti scassa bilancio dello Stato, autentici provvedimenti bollabili come voto di scambio e qui si parla ovviamente, del reddito di cittadinanza e del cosiddetto superbonus casa.
In conclusione, ritorniamo alla Costituzione del 1948, quando allora i costituenti volendo la magistratura al riparo di qualsiasi interferenza esterna, vollero che anche la politica, il Parlamento fosse al riparo, da chi sostanzialmente legibus solutus, potesse condizionare l’attività legislativa nel senso a loro desiderato.
Ripristiniamo, quindi, l’articolo 68 della Costituzione nella sua versione originale modificata nel 1993, procediamo con la separazione delle carriere, riformuliamo un vero e controllato finanziamento pubblico ai partiti ed infine riportiamo al centro della vita politica i cittadini per mezzo di una legge elettorale che reintroduca il sistema proporzionale, l’unico in grado di dare vera rappresentatività a tutte le opinioni.