Par condicio, questa sconosciuta: ecco cosa dice la legge

18 maggio 2014 | 12:55
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Par condicio, questa sconosciuta: ecco cosa dice la legge

Par condicio, questa sconosciuta. Una legge, contestabile quanto si vuole, ma che comunque è legge dello stato e che prevede delle limitazioni fondamente alle testate giornalistiche radiotelevisive salvo due articoli, quelli sui messaggi politici ed elettorali sui quotidiani e periodici e sulla diffusione dei sondaggi politici ed elettorali. E su cui si incentra questa nostra puntata della rubrica dedicata alle regole e alla deontologia dei giornalisti.
Un insieme di regole, singolarmente regolamentate per ogni consultazione da un’apposita commissione parlamentare e dall’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni e monitorate, nella loro attuazione, dai Corecom regionali. Il fine è quello di garantire parità di trattamento fra i vari partecipanti alle consultazioni. In particolare, spiega la norma “i direttori responsabili – si legge nel vademecum dell’Agcom pubblicato nel 2013 – dei programmi, nonché i loro conduttori e registi, devono assicurare in maniera particolarmente rigorosa condizioni oggettive di parità di trattamento, riscontrabili sulla base dei dati del monitoraggio, e devono assicurare ogni cautela atta ad evitare che si determinino situazioni di vantaggio per determinate forze politiche o determinati competitori elettorali”.

“A differenza della comunicazione politica – spiega ancora il vademecum – la rappresentazione delle diverse posizioni politiche nei telegiornali non è regolata, dal criterio della ripartizione matematicamente paritaria degli spazi attribuiti, ma deve conformarsi al criterio della parità di trattamento, il quale va inteso propriamente nel senso che situazioni analoghe devono essere trattate in maniera analoga, al fine di assicurare in tali programmi l’equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche ed il corretto svolgimento del confronto politico su cui si fonda il sistema democratico”.
Altre norme, invece, indicano come diffondere i messaggi autogestiti dai vari partiti o liste civiche, che possono essere gratuiti o a pagamento. Per quelli gratuiti è il Corecom che individua chi ha diritto a diffonderli e individua le testate giornalistiche ammesse alla diffusione, che devono specificare gli spazi di programmazione, limitandoli al massimo di due al giorno. Per i messaggi a pagamento le singole testate dovranno diffondere preliminarmente le condizioni economiche per la loro pubblicazione, che devono essere messe a disposizione di tutti e devono essere uguali per tutti.
Deve essere inoltre garantita un equo trattamento nelle trasmissioni di informazione politica, che devono tendere alla migliore e più equilibrata informazione possibile per l’elettorato.
Un settore della norma, molto delicato e per lo più disatteso, riguarda la comunicazione istituzionale. Le regole sono previste nell’articolo 9 della legge 28 del 2000: “Dalla data di convocazione dei comizi elettorali – si legge nel testo – e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni”. Il limite si intende riguarda in particolare legato alle elezioni amministrative, con particolare attenzione alle amministrazioni “uscenti”.
“La norma – si legge nel vademecum dell’Agcom – è a presidio del principio costituzionale di imparzialità della pubblica amministrazione (articolo 97 Costituzione) al fine di evitare che nel periodo elettorale le forze politiche di maggioranza beneficino delle opportunità connesse alla titolarità di cariche di governo, sfruttando occasioni di comunicazione non soggette a vincoli regolamentari quali forme surrettizie di propaganda politica. Infatti, il divieto è finalizzato ad evitare il rischio che le amministrazioni, nello svolgere attività di comunicazione istituzionale in periodo elettorale, possano fornire, attraverso modalità e contenuti informativi non neutrali, una rappresentazione suggestiva, a fini elettorali, dell’amministrazione stessa e dei suoi organi titolari, sovrapponendo, in tal modo, l’attività di comunicazione istituzionale a quella propria dei soggetti politici”. “Quanto all’impersonalità – si legge ancora – il divieto persegue lo scopo di evitare, durante il periodo elettorale, una comunicazione istituzionale personalizzata, che consenta alla amministrazione “uscente” di utilizzare il ruolo istituzionale per svolgere surrettiziamente attività di tipo propagandistico. A tal fine, l’utilizzo del logo dell’ente costituisce un indizio di illegittimità della comunicazione realizzata: la comunicazione istituzionale durante il periodo elettorale, allorquando sia indispensabile ai fini dell’efficace assolvimento delle funzioni proprie dell’ente, deve essere assolutamente neutrale”. Debole, però, il sistema delle sanzioni: “L’accertamento delle violazioni dell’articolo 9 – conclude il vademecum – rientra nella competenza dei comitati regionali per le comunicazioni allorquando la violazione interessi l’ambito locale. Per quanto riguarda le sanzioni la legge 28 del 2000 (articolo 10) non prevede una specifica sanzione per la violazione delle disposizioni contenute nell’articolo 9 della medesima legge. Tuttavia, oltre ai provvedimenti di urgenza di cui all’articolo 10 comma 9 finalizzati a “ripristinare l’equilibrio nell’accesso alla comunicazione politica”, l’autorità può adottare anche sanzioni di natura accessoria, previste dal medesimo articolo al comma 8, ad esempio ordinando la trasmissione o la pubblicazione, anche ripetuta a seconda della gravità dell’infrazione, di messaggi recanti l’indicazione della violazione commessa”.
Da ricordare, per tutte le testate, anche il divieto di pubblicazione nei 15 giorni prima delle elezioni dei sondaggi politici elettorali, che in fase non elettorale sono invece legati a rigide regole sulla loro attendibilità.