Informazione in rete, una fotografia fin troppo sfocata

22 giugno 2014 | 08:49
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Informazione in rete, una fotografia fin troppo sfocata

Spazi fluidi, ovvero l’informazione toscana in rete. Come dire, ci hanno provato. Lodevole tentativo, insomma, quello del Comitato Regionale delle Comunicazioni, che ha provato a recensire il mondo dell’informazione su web coinvolgendo professori universitari ed esperti del settore. Ma il risultato dello studio, e il susseguente convegno, hanno lasciato più dubbi che certezze in molti dei partecipanti al dibattito, attirati forse più dalla possibilità di collezionare crediti formativi per la formazione professionale continua dei giornalisti che dai contenuti della ricerca.
Diciamolo subito. Si tratta di una ricerca largamente incompleta, già superata dai fatti e per certi versi incomprensibile. Nel metodo di selezioni dei case study, nella loro analisi comparativa e nel messaggio che, in qualche modo, si vuole comunicare. Certo, coloro che hanno realizzato lo studio hanno tenuto a sottolineare con forza che si tratta di uno studio work in progress. Ma proprio per il suo essere tale, forse, avrebbe dovuto evitare affermazioni definitive, che permettono a questa o a quella testata di fregiarsi di un “bollino” ufficiale di qualità laddove la qualità proprio non c’è. Per non parlare della recensione di realtà non aggiornate da tempo, che non si sono mai realmente professionalizzate o che di giornalistico hanno poco o punto. Perché, e questa è una delle cose condivisibili che si è detta per l’occasione, se è vero che fa informazione chi verifica le fonti e segue le regole, anche se fa principalmente un altro mestiere è altrettanto vero che la natura di testata giornalistica può e deve essere attribuita non solo per la registrazione al tribunale. E che lo studio della composizione delle redazioni non si può limitare soltanto alle autodichiarazioni nelle apposite pagine.
Una ricerca, insomma, che dà la sensazione di essere superficiale, nonostante gli spunti che vi si possono trovare e gli stimoli a studiare un fenomeno, quello dell’informazione sul web, quella dell’utilizzo dei social network e quello del citizen journalism, che cambia giorno per giorno.

In questo senso stupiscono due cose. La prima è il parterre invitato alla tavola rotonda sul tema: Tgr Rai Toscana, Corriere Fiorentino, Tirreno. Il solo Nicola Novelli di Nove da Firenze a rappresentare le testate native sull’on line e un’assenza pesante, quella di Anso, l’associazione nazionale della stampa online che, comunque la si pensa, è una realtà  rappresentativa della categoria degli editori del settore. Come si fa a parlare di un fenomeno, insomma, senza che a parlarne siano i suoi stessi attori? Come si fa ad appassionare, a coinvolgere, a far dibattere, una categoria intera se di fronte c’è, mi si permetta, chi rappresenta conservazione, autoreferenzialità e volontà di mantenere le posizioni di privilegio?
La sensazione non è delle più positive, anche laddove l’assessore Bugli, in rappresentanza della Regione Toscana, nel parlare dell’attuazione della legge sull’editoria approvata l’anno scorso dal Consiglio presenta il bando regionale, che stanzierà 3 milioni di euro, come “aperto a tutti” con attenzione anche al collegamento fra stampa tradizionale e on line. Come dire, non si preoccupino i quotidiani mainstream (fra cui anche quelli dei prepensionamenti e dei contratti di solidarietà, dei tanti precari in attesa di regolarizzazione e dei collaboratori a 5 euro lordo a pezzo): ce ne sarà anche per loro. Laddove, sia chiaro, la soluzione per far ripartire un sistema che compie, privatamente, un servizio che è latamente pubblico e che attua un principio costituzionale come quello dell’articolo 21 (libertà di informazione certo, ma anche diritto ad essere informati correttamente da parte dei cittadini/utenti/lettori) la soluzione non è quella dei finanziamenti a pioggia ma quella della considerazione e rivalutazione del comparto, partendo dalla valorizzazione dei progetti e delle idee e non dal mantenimento dello status quo.
A chiederlo sono i tanti giornalisti in cassa integrazione o disoccupati, i tantissimi precari, ma anche i giovani che si approcciano alla professione. E che, in queste condizioni, neanche per merito, entreranno mai in un giornale mainstream gravato da problemi di sopravvivenza. Il problema, insomma, è sempre il solito. Ovvero non quello di sostenere il settore dell’informazione purché sia (o purché poi in cambio a sua volta sostenga o sponsorizzi), ma portarlo gradualmente all’autosostentamento, individuando modelli di business mutuabili che permettano la creazione di vere e proprie redazioni strutturate e senza la necessità dell’annuale contributo, sia esso regionale o statale, che tanti danni sta provocando in un momento di vacche magre come quello che stiamo attraversando. E su questo, al solito, di risposte non ce ne sono state. E questo permetterà il proliferare di realtà che saranno costrette a vendere se stesse (e troppo spesso anche la loro dignità) invece di fare informazione. Con i conseguenti danni anche per il giornalismo in generale e per la percezione da parte dei lettori dell’intera categoria.
Insomma il rischio è che il rinascimento del giornalismo nell’epoca 3.0 sia, come ha detto qualcuno, una restaurazione in chiave digitale. Eppure gli strumenti, le opportunità, le potenzialità ci sarebbero. A partire dall’utilizzo degli open data, verso i quali c’è stata una significativa apertura da parte della Regione. Settore, questo, tutto da scoprire ma per cui sarebbe utile anche un’adeguata formazione da parte dell’ordine professionale. A partire dalla stessa formazione professionale continua, a patto che sia seria ed equilibrata. Il caso del convegno di martedì scorso, in questo senso, è emblematico. A una procedura di iscrizione rigorosa e molto formale (richiesta puntualità, presenza a tutto il convegno, registrazione in entrata e in uscita) ha fatto seguito la consueta soluzione “all’italiana”: iscrizioni “fuori lista” e all’ultimo momento, anche da parte di chi è arrivato sul finale, andirivieni continuo all’interno della sala e nessun controllo rigoroso sulle presenze. Alla faccia di chi, per maturare i crediti formativi, è costretto a pagare e a muoversi dalla propria residenza. Laddove è richiesta serietà si pretende serietà e coerenza. Ne va della credibilità di Ordine dei Giornalisti e Associazione Stampa. 

Enrico Pace