Spirito di collaborazione fra giornalisti e diritto di rettifica: cosa dicono le norme in vigore

La legge professionale e la legge sulla stampa chiariscono diritti e doveri di chi esercita la professione
Giornalismo, non Far West. La professione è soggetta a regole che, se pur spesso violate, esistono e vengono da molti rispettate.
Oggi ne sottolineiamo due, una delle quali è semplicemente la declinazione dell’altra.
L’articolo 2 della legge professionale 69 del 1963 recita testualmente così: “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”.
Così, circa la rettifica, dice invece l’articolo 8 della legge 47 del 1948: “Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale. Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono (…). Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate”.
Chiunque volesse, quindi, ha queste come norme di riferimento, ognuna con le relative sanzioni, non solo deontologiche. Il resto, altrimenti, rischia di essere solo Far West.