Le radici, l’azienda, la passione per il teatro e per le figlie: Aldo Terigi si racconta

29 maggio 2019 | 09:07
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Le radici, l’azienda, la passione per il teatro e per le figlie: Aldo Terigi si racconta
Le radici, l’azienda, la passione per il teatro e per le figlie: Aldo Terigi si racconta
Le radici, l’azienda, la passione per il teatro e per le figlie: Aldo Terigi si racconta
Le radici, l’azienda, la passione per il teatro e per le figlie: Aldo Terigi si racconta

Sono le persone a fare la differenza, in ogni contesto. La loro disposizione, il loro entusiasmo nel vivere insieme spazi e progetti. E sul lavoro, dove passiamo più tempo che a casa, si deve stare bene. Ne è convinto Aldo Terigi, che con i fratelli Alessandro e Andrea condivide la responsabilità della concessionaria Audi di via delle Fornacette a San Concordio. Lui, primogenito di Giampaolo, porta il nome di suo nonno. E in qualche modo portare il nome di un uomo che nel 1957 ha fondato un’azienda che ancora oggi, in un contesto di recessione economica, dà lavoro a quasi 40 persone, è responsabilità. Ma Aldo sa di averla scelta. Sì, perché ci sono strade già tracciate che si può scegliere di non percorrere. Così come ci sono strade diverse che, nella vita, sono lì solo per riportarci a casa, più forti e più sereni. Ed è stato un po’ così per Aldo Terigi, che nel 2001 — come ha lui stesso candidamente ammesso — “ha fatto il botto”. Ed ha avviato un’attività di bed and breakfast a Marginone, a pochi chilometri dalla cittadina del Tau.

“Mio padre, che è persona comprensiva ma anche molto concreta, non si capacitava granché della mia necessità di staccare, di prendere le distanze dall’azienda di famiglia. Ricordo – racconta Aldo – grande rispetto da parte sua verso la mia decisione. Mi chiedeva soltanto ‘va bene non lavorare per la concessionaria, ma cosa vuoi fare?’ e io non lo sapevo. Sentivo solo il bisogno di esplorare oltre, di tentare un’altra strada”. Siamo agli albori del nuovo millennio. Prima degli smartphone e dei voli low cost che hanno facilitato i flussi turistici e lo scambio di buone pratiche. Anni in cui l’espressione ‘bed and breakfast’ suonava senza alcuna familiarità: una forma di accoglienza tutta anglosassone, lontana da noi. Aldo Terigi decise di crederci, di concedere fiducia a un’intuizione: proprio come suo nonno — se è vero che ogni nome è una storia e un destino. “Mio zio Roberto aveva un rudere a Marginone, con un terreno pieno di pruni e sterpaglie. Ho passato intere giornate, insieme a mia moglie Cinzia, con il frullino in mano – ride Aldo – per restituire decoro a quella proprietà. Ci siamo spesi in prima persona, anima e corpo, e l’anno seguente abbiamo avviato la prima stagione turistica. C’erano cinque camere, che affittavamo, e anche noi vivevamo lì. È stata una parentesi necessaria, per la mia crescita umana. Cinzia è sempre stata al mio fianco, sostenendo anche le scelte più sofferte. In quel periodo — racconta ancora Aldo — mia moglie e io abbiamo iniziato le pratiche per le adozioni internazionali”. Nel parlare delle figlie, il volto di Aldo si illumina e assume un’espressione di grande dolcezza. “È stato un percorso che ha richiesto molto tempo: per fare un esempio, occorre un anno solo per ottenere il decreto di idoneità. Ci siamo affidati all’associazione Cifa onlus di Torino e finalmente, nel 2006, sono arrivate dal Kazakistan le mie due bimbe, Anna e Mira, che oggi hanno 17 e 15 anni. La loro mamma aveva scelto per loro due nomi di difficile pronuncia per noi ma che, tradotti, significano ‘amore’ e ‘perla’. Abbiamo voluto lasciarglieli — spiega Aldo — perché portino con loro, sempre, la certezza di essere state amate e volute. Il nome proprio è identità: in fondo, noi iniziamo a esistere davvero nel momento in cui ci viene dato un nome”. E così, con l’arrivo delle bimbe, Aldo Terigi — che nel frattempo aveva anche conseguito la patente K e aveva iniziato a guidare bus turistici — ha rimesso nuovamente in discussione tutto: “L’esperienza alla casa di Marginone si era conclusa ed ero rientrato a Lucca. Ma guidare autobus mi teneva troppo spesso lontano da casa. Non era quello che volevo. Le mie figlie erano piccole — spiega Aldo — e volevo condividere con la mia famiglia ritmi diversi. Pranzare insieme, cenare insieme, parlare. Così i miei fratelli, sempre molto rispettosi delle mie scelte, mi invitarono a riprovare con il lavoro in concessionaria. Ed eccomi qua. Oggi so di averlo scelto io questo lavoro. Mi occupo di amministrazione, di far quadrare i conti, per un’azienda che, in fondo, è casa mia. Letteralmente, io ci sono cresciuto tra le pareti della Terigi. E per quanto senta le mie attitudini lontane dal business, non posso rinnegare che le mie radici siano anche queste”.
Prendendolo un po’ in giro, il padre lo ha definito bonariamente ‘il figliol prodigo’. E in un certo senso lo è stato, ma senza suscitare alcun sentimento di invidia nei fratelli: “Non ci appartengono né la competizione, né il rancore, tra noi. Il senso di comunione tra fratelli è profondo nella nostra famiglia ed è forse l’insegnamento più bello che ci ha dato nostro padre. Con l’esempio, perché non si trasmette in altro modo che con l’esempio: lui – ricorda Aldo – che nel momento delle divisioni con suo fratello Roberto, diceva: ‘ma anche se prendessi qualcosa di meno, cosa me ne importerebbe? Vorrebbe dire che ha preso di più mio fratello, mica un signor nessuno’. E il fratello la pensava allo stesso modo”. Oggi Aldo è un uomo che ha trovato equilibrio e centratura, che pratica sport — “mi alleno da solo in palestra, senza agonismo” — e che da qualche anno si è avvicinato al laboratorio di teatro per adulti della compagnia di Miriam Iacopi, Teatro e non solo. “Anche mia figlia Anna sta seguendo il corso con Miriam — spiega Aldo — e mi fa molto piacere condividere con le questa passione. Il teatro è stata una rivelazione: il metodo della Iacopi è forte, di pancia. Fa lavorare sulle emozioni nascoste, sulle pulsioni, su quella follia che conteniamo dentro le nostre gabbie, più o meno dorate. E non è un caso che il nostro ultimo lavoro abbia trovato il suo set naturale nella chiesetta a servizio del vecchio manicomio di Maggiano”. Uno spettacolo che andrà in scena anche domani (30 maggio) alle 21 al teatro San Girolamo, sullo smarrimento che le persone con disturbo mentale hanno vissuto dopo l’entrata in vigore della legge Basaglia e la dismissione degli ospedali psichiatrici. “Il teatro mi porta via da me. È un’evasione, ogni volta, che conduce dentro vite non tue per arrivare infine a sentire, in modo irriducibile, che le differenze tra esseri umani non fanno alcuna paura, anzi: è un privilegio viverle, un arricchimento continuo”. E Lucca? Che rapporto ha Aldo Terigi con la sua città? “Le Mura sono il posto più bello del mondo. È pulita, è ordinata, molto più ora di un tempo e molto più di altre città toscane. Eppure i lucchesi non sanno fare altro che lamentarsi, sono sempre sulla difensiva, non ammettono mai di stare bene — ché non si sa mai, potrebbe divenire sponda perché qualcuno se ne approfitti. Questo mi dispiace: fosse per me, Comics tutti i mesi e più date ancora del Summer festival. Questa città dà il meglio di sé quando si apre all’altro”.
Ma qualcosa, a ben vedere, nemmeno a lui va giù: “Come imprenditore vedo grosse difficoltà in chi cerca di dare lavoro a causa della forte pressione fiscale. Il mondo del lavoro andrebbe agevolato. In Fillungo aprono e chiudono attività, di continuo, mentre i negozi storici vanno estinguendosi: chiediamoci perché”. Una nota amara, che subito scompare quando Aldo Terigi riprende a parlare delle figlie: “Spero che loro siano felici, che si sentano libere di fare quello che vogliono e dove vogliono. Anche all’estero. Comunque so che ovunque andranno porteranno con loro quell’onestà che ci appartiene. La mia speranza – conclude Aldo – è tutta verso le persone. I grandi cambiamenti sociali partono dai cambiamenti individuali. Non esistono etichette che tengano, solo comunità che funzionano o meno. È così per le famiglie, per i Comuni, per le aziende. Se le persone sono messe nelle condizioni di dare il meglio, lo faranno. Io voglio crederci”.

… to be continued



Elisa Tambellini