Crisi Covid-19, Giampaolo Terigi: “Ci salveremo con meno polemiche e meno burocrazia”

Una chiacchierata a 360 gradi con il ‘padre’ della concessionaria Terigi di San Concordio
“Ne ho viste tante in 88 anni di vita, ma il senso di incertezza e di sfiducia che permea questo momento storico non riesco a paragonarlo a nessun’altra esperienza del passato”. È perentorio Giampaolo Terigi, l’uomo che nel 1957 – insieme al padre Aldo e al fratello Roberto – ha messo in piedi la concessionaria di via delle Fornacette a San Concordio.
Occhi profondi, sguardo vivace, e un’eleganza innata nei gesti che accompagnano le sue parole. Parlare con lui genera nell’interlocutore un naturale senso di rispetto: il tono della voce è pacato, l’eloquio misurato e preciso. Una capacità di analisi fine delle dinamiche sociali ed economiche, espressa senza eccessi. D’altronde Giampaolo non ha mai voluto ricoprire ruoli diversi da quello che già aveva nella ‘sua’ azienda: una grande casa che oggi conta quaranta dipendenti.

“C’è stato un momento – racconta – in cui mi venne chiesto da più persone di espormi per ambire a qualche ruolo istituzionale, ma me ne sono sempre tenuto lontano. Non per disinteresse verso la cosa pubblica o verso le associazioni di categoria cittadine: semplicemente, ho sempre pensato che fosse più opportuno seguire le proprie attitudini e io, per la politica, non sono fatto”.
“Il massimo che mi sono concesso – scherza – è stato il ruolo di presidente del Circolo del Tennis di Vicopelago negli anni Ottanta, quando Alessandro, il mio figlio più piccolo, stava raggiungendo importanti obiettivi con la racchetta in mano negli Stati Uniti: ha conseguito la qualifica di maestro di tennis alla Bollettieri Academy in Florida, dove è rimasto un anno”, sottolinea con affettuoso orgoglio.

Riflette Giampaolo: “Perché una realtà funzioni è necessario che i ruoli siano ripartiti tra più persone e che ci sia grande fiducia tra chi collabora. Non sono un accentratore, non lo sono mai stato, e forse è proprio per questo che in Terigi si sta bene e tutti sono motivati a fare la propria parte, come in una famiglia unita e coesa. Servono competenza e serietà, spirito di collaborazione e tenacia: sono ancora oggi questi gli ingredienti che possono mandare avanti un’azienda solida”.
La pandemia in corso, con le necessarie misure di contenimento della diffusione del virus, sembra non aver scalfito gli equilibri della concessionaria. Merito di scelte lungimiranti e di misure messe in campo dal marchio Audi. Ricorda Giampaolo Terigi: “La capacità di reazione dell’azienda tedesca è stata rapida: già a marzo è arrivata la notizia della sospensione delle fatturazioni per 120 giorni, con tanto di riaccredito sul conto delle spese sostenute nell’ultimo periodo. Un conforto di cassa importante che ci ha permesso di anticipare la cassa integrazione senza lasciare nessuno in balia di attese estenuanti. Lo avremmo fatto comunque perché il diritto al lavoro, e alla dignità di uno stipendio, per noi è sacro: così lo abbiamo fatto con maggiore serenità”.
Sebbene abbia lasciato il timone della concessionaria ai figli da diversi anni, Giampaolo parla con affetto quasi paterno delle persone che lavorano in Terigi: “Tra loro sono prima amici e poi colleghi di lavoro, si percepisce il clima di cordialità tra queste stanze. È bello pensare di aver dato vita a qualcosa che oggi incide sulla vita di circa quaranta persone, per lo più giovani. L’ho potuto fare inseguendo un sogno: una possibilità che oggi non tutti possono permettersi”.

Giampaolo si fa accigliato, pensieroso. Consapevole di aver avuto l’età giusta al momento giusto in quegli anni Cinquanta di rinascita che hanno accelerato la modernizzazione del Paese. “Quando ho iniziato a lavorare con le auto – racconta – il rischio d’impresa era piuttosto basso: non a caso eravamo commissionaria, non concessionaria. In parole povere pagavamo l’auto alla casa madre solo dopo averla venduta al cliente”.
Ma nel passato ci sta dentro tutto, anche i momenti più difficili, e togliendo la polvere da alcuni ricordi riemerge anche un velo di amarezza: “Riaffiora ancora l’umiliazione del restare chiusi fuori dalla concessionaria durante le assemblee degli anni Settanta, con i sindacalisti che arringavano contro la mia famiglia perché nel gioco delle parti, nella loro narrazione noi eravamo per partito preso gli sfruttatori, i padroni che si arricchivano sulle spalle dei lavoratori. Non veniva messo in conto che stavamo facendo tutti enormi sacrifici per costruire una realtà in grado di generare lavoro per il territorio, né importava come realmente l’azienda si comportasse con i dipendenti. Quello è stato forse il momento più doloroso, più ingiusto”.
E il presente? Le parole di Giampaolo si fanno prudenti – perché leggere l’oggi richiede l’esercizio del dubbio. Parla solo di quello che sa e già questo, nella sovrabbondanza di tuttologi dell’ultim’ora, è valore. “Un periodo di prosperità e ottimismo come quello degli anni Ottanta, in Italia, forse non tornerà più. Da lì in poi si è sfaldato un sistema che purtroppo non è stato sostituito di qualcosa di davvero nuovo e valido. Da allora, e parlo come imprenditore, si è appesantita in modo esponenziale la burocrazia: si pensi che siamo tenuti, ogni tre mesi, a sottoporre a verifica e controllo i nostri conti al collegio dei sindaci e dei revisori contabili. E questa è solo una delle tantissime pratiche”.

“Occorre ritrovare una diffusa onestà di fondo nel fare le cose. Una divisione dei ruoli per competenze, un maggior rispetto per il significato delle parole. Questa è un’epoca confusa – aggiunge Giampaolo Terigi – che non riesce più ad accorgersi delle contraddizioni servite sul piatto fumante del talk show televisivo. La credibilità della politica è ai minimi storici, il livello della polemica sempre pronto ad alzarsi, e intanto tra le persone serpeggia quel sentimento di sfiducia che può generare mostri. È arrivato il tempo di smetterla di fare come i farisei del Vangelo di Luca, quelli che lo stesso Gesù apostrofa con queste parole: ‘Guai a voi che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito’. Non si possono chiedere sforzi impossibili ai cittadini nel mezzo di una pandemia e utilizzare parole come ‘responsabilità’ stravolgendone il significato”.
E quindi è tutto sbagliato, tutto da rifare? Niente affatto. L’analisi di Giampaolo Terigi si chiude con un’apertura di speranza: “Saranno i giovani a fare la differenza, quelli coraggiosi, intraprendenti, con tanta voglia di cambiare le cose. Come mio nipote Stefano, che insieme ad altri amici ha aperto un punto di eccellenza per la gastronomia contemporanea come Gigliola, in corso Garibaldi, proprio in questo momento di forte fragilità. Saranno le idee, la passione, l’ottimismo a rinnovare questo Paese: non ci sono, oggi come ieri, altre cure altrettanto efficaci”.
Elisa Tambellini