La Toscana celebra il 27 aprile. Rossi: “Portare la nostra identità negli Stati uniti d’Europa”

27 aprile 2016 | 13:32
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La Toscana celebra il 27 aprile. Rossi: “Portare la nostra identità negli Stati uniti d’Europa”

“Sono grato e lieto per questo invito che ho immediatamete accettato”. Così il presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, che ha espresso sentimenti di ringraziamento per il presidente Giani, per “l’invito sincero e intenso” prima della relazione nel corso della seduta solenne del consiglio regionale per celebrare la fine del Granducato e la nascita del primo governo toscano.

E andando al 27 aprile 1859, Grossi ha ricordato lo scrittore Ferdinando Martini, allora ragazzetto di famiglia notabile che in Confessioni e ricordi parla del Granduca che esce con la carrozza da palazzo Pitti e viene salutato dai popolani, come ogni giorno, come andasse alle Cascine. Quel 27 aprile prese invece una strada diversa, andò verso via Bolognese e abbandonò la Toscana: “una non rivoluzione, una rivoluzione di velluto, che ruppe con un governo sonnacchioso di eccellenti amministratori, ma senza progetto politico – ha sottolineato il presidente – una rivoluzione mancata, che si risolveva sul piano della unità politica ma che non intaccava sul piano sociale, perché lo stato continuava ad essere monoclasse e avrebbe continuato ad esserlo fino alle soglie della I Guerra mondiale”. Quel 27 aprile fu momento di rottura col passato e prima tappa verso l’unità, ma la strada da compiere era ancora lungua e avrebbe condotto “agli anni miracolosi tra il ‘46 e il ‘48, che portarono alla Costituzione, ancora oggi validissima e ammirevole”. “I Padri costituenti osservarono valori e interessi diffusi da cui trarre principi per la Carta, rivolta ad ogni cittadino, dal più ricco al più misero – ha affermato Grossi –. Interlocutore dei nostri costituenti fu il cittadino, individuato nella sua carnalità: solo allora quel divario tra stato e società si venne a colmare, perché la Costituzione divenne di tutti, fu la Carta del popolo”.
Essere insieme, “allo stesso tempo toscani, italiani ed europei”, questa la strada da percorrere secondo il presidente della Toscana Enrico Rossi. “Noi vogliamo essere una regione europea, vogliamo gli Stati Uniti d’Europa, perché solo così potrà essere salvata, nel mondo globalizzato, la civiltà europea a cui questa città di Firenze e questa regione hanno dato un contributo fondamentale”. E in questa direzione, “sono maturi i tempi per la revisione di un regionalismo che inquadri meglio le regioni all’interno di una compagine nazionale, dove il principio degli interessi nazionali sia esercitato nel rispetto dei territori, in modo cooperativo tra istanze regionali e statali”. Tempi maturi “per nuove geometrie regionali, basate su elementi omogenei, culturali, sociali ed economici, per far sì che le regioni possano svolgere un ruolo importante nel nuovo consesso nazionale europeo. Ecco la nostra sfida”.
Rossi ha voluto “ringraziare sinceramente il presidente del Consiglio regionale per questa celebrazione, perché capire la storia serve a capire il nostro presente”. Per la Toscana, prosegue il presidente, è stato peculiare “avere avuto un dispotismo illuminato. Ben sappiamo quale impronta di sviluppo, di modernità, di civiltà abbia lasciato il segno più che secolare la presenza dei Lorena in Toscana”. Ma allora era evidente “che questa dimensione aveva esaurito la sua funzione propulsiva”, mentre l’idea di nazione “si affermava in tutta l’Europa”. In Italia, il salto fu “innanzitutto opera dei giovani, del loro desiderio di conquistare la libertà italiana, di rivendicarne l’unità e l’indipendenza politica”. Rossi cita a questo proposito lo storico Lucio Villari nel suo ‘Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento’. E ricorda, con le parole di Giuseppe Montanelli, il contributo dei giovani “senesi e pisani e toscani, che insieme ai napoletani parteciparono alla battaglia di Curtatone e Montanara contro l’Austria nel 1848”.
Eppure si trattò, dice ancora Enrico Rossi, di una “rivoluzione mancata, come sottolineò Antonio Gramsci, del quale oggi ricorre l’anniversario della morte, avvenuta 79 anni fa”. Una rivoluzione mancata “per il fatto che da essa restarono esclusi i ceti non borghesi e in primo luogo la stragrande maggioranza del popolo di allora: i ceti contadini”. Quella rivoluzione si compirà più avanti: “I contadini, insieme alla classe operaia e ai ceti borghesi e intellettuali più avanzati se la sono fatta, anche qui in Toscana, con la Resistenza contro il nazifascismo, da cui è nata la Repubblica democratica e la nostra Costituzione”.
La costruzione dell’identità nazionale, dunque, passa “nella nostra regione attraverso irriducibili peculiarità toscane e una forte identità delle quali possiamo, dobbiamo andare orgogliosi. Ma questo non ha mai significato una chiusura dentro la Toscana”. Ora il tempo ci impone di “tenere insieme gelosamente più identità, nelle quali riconoscersi: quella cittadina, quella regionale, quella nazionale e infine quella europea. Manteniamo questa fiducia, nonostante il risorgere delle ideologie delle piccole patrie, l’alzarsi dei muri, le chiusure egoistiche che sembrano riportare indietro il continente e che fanno risorgere i fantasmi del passato”.