Toscana, 88 donne uccise in 10 anni. Barni e Saccardi: “Impegno a tutto campo”

E’ stato presentato oggi pomeriggio (29 novembre) a Sant’Apollonia l’ottavo Rapporto sulla violenza di genere in Toscana (i cui dati sono riportati nella scheda allegata). In apertura sono intervenute la vicepresidente Monica Barni con delega anche alle pari opportunità e l’assessore a diritto alla salute, sociale e sport Stefania Saccardi.
Entrambe hanno sottolineato l’importanza – anche alla luce della sua quasi unicità nel panorama nazionale – di un appuntamento che “la Regione ha voluto mantenere, nella consapevolezza dell’importanza di disporre di dati ed informazioni necessari per poter costruire e programmare, su dati di realtà, azioni di governo coerenti ed efficaci. Un rapporto costruito su informazioni provenienti da banche dati diverse, che dunque rappresenta anche un tentativo di integrazione tra i servizi, contribuendo ad una maggiore conoscenza del fenomeno della violenza di genere, oltre che a mantenere alta l’attenzione degli operatori e della popolazione tutta. E questo influenza positivamente il numero di segnalazioni da parte delle vittime”.
Per Barni “il rafforzamento dei nodi delle reti territoriali per la prevenzione ed il contrasto alla violenza di genere è stato ed è tuttora una delle priorità dell’azione della nostra Regione, che ha destinato al sostegno delle reti i finanziamenti provenienti dal livello centrale dopo l’approvazione della legge 119/2013. Finanziamenti che tuttavia non hanno ancora raggiunto continuità e stabilità e che abbiamo recentemente integrato con risorse regionali, per dare respiro e continuità a centri antiviolenza e azioni che sul territorio hanno continuato ad essere presenti e svilupparsi. Ci auguriamo che possano al più presto arrivare le risorse relative al biennio 2015/2016 nonché i fondi previsti dal Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere. Nel frattempo abbiamo istituito un Comitato Regionale di Coordinamento, cabina di regia in cui sono e saranno rappresentate tutte le diverse componenti istituzionali, a partire da tre assessore della giunta regionale, e le varie associazioni di donne e del volonatriato per contrastare in modo integrato e trasversale questo complesso e sfaccettato fenomeno”.
Tra le altre azioni regionali la vicepresidente Barni ha ricordato – oltre agli interventi da tempo in atto nelle scuole per creare un clima di rispetto tra i sessi e più in generale verso le diversità – l’accordo da poco sottoscritto con l’Ufficio Scolastico Regionale per attuare a livello sperimentale il comma 16 della Buona Scuola, che prevede l’educazione al rispetto delle differenze: con una parte delle risorse stanziate per l’anno 2016, verranno formati docenti e personale Ata, in modo da dare anche a questo intervento un carattere sempre più di sistema.
L’assessore Saccardi ha insistito sulla necessità di radicare una cultura diversa, di rispetto dell’altro. “Le politiche contro la violenza di genere non servono solo ad aumentare il rispetto delle donne ma hanno una valenza più vasta, contribuiscono ad aumentare la qualità dei rapporti”. Tra i servizi sul territorio Saccardi ha posto l’attenzione sull’esperienza del Codice Rosa, che da esperienza nata nell’azienda sanitaria di Grosseto è diventata un’eccellenza toscana, poi patrimonio di tutto il Paese. “Il Codice rosa nei pronto soccorso è riuscito a dare una risposta articolata – ha detto Saccardi – mettendo in azione operatori preparati e motivati, capaci di riconoscere e assistere, in un ambiente accogliente e comprensivo, le vittime di violenza, con sinergia tra personale sanitario, Forze dell’ordine, Procure della Repubblica, Centri Antiviolenza”. In Toscana, dove è presente in tutti i pronto soccorso, il Codice Rosa è riuscito a far emergere tanti casi di violenza che altrimenti sarebbero rimasti sommersi. “Ma ora – ancora Saccardi – stiamo andando avanti, introducendo oltre all’aspetto sanitario quello sociale, per farlo diventare sempre di più un percorso di tipo integrato che completi l’accoglienza immediata con la fase successiva di accompagnamento dentro la società nel momento in cui le donne decidono di interrompere il ciclo della violenza. Per questo vogliamo costruire una vera e propria Rete Regionale Codice Rosa, un passaggio delicato ma doveroso che richiede una forte assunzione di responsabilità. Nè vanno dimenticati i maltrattanti, che debbono sì trovare la giusta punizione, ma anche essere supportati e “rieducati” in modo da poter evitare drammatiche recidive e soprattutto affinché possano esercitare correttamente un eventuale ruolo genitoriale. Il mio appello è a non rassegnarsi di fronte a reati che avvengono dentro le relazioni familiari e di affetto, che dovrebbero essere luogo di accoglienza e rifugio, primo nucleo di solidarietà”. Oltre a rivolgere un appello ai media perché prestino maggiore attenzione al linguaggio, Barni ha annunciato inoltre un lavoro dei revisione sulla legge “pionieristica” del 2007, che va adeguata, perché sia efficace, ai tanti mutamenti che si sono verificati, nonché alle buone prassi e alle nuove esigenze emerse in questi anni. “Infine – ha concluso la vicepresidente – una parte delle risorse regionali verrà destinata alla realizzazione di una campagna di comunicazione e sensibilizzazione, per aumentare la consapevolezza delle vittime e la conoscenza delle possibilità esistenti di rivolgersi ai servizi per poter chiedere aiuto. Una campagna per la quale la Regione chiede il supporto di tutti, perché se ciascuno veicola il messaggio tramite i propri canali, si riuscirà a raggiungere un numero di persone davvero importante”.
I dati. L’ottavo rapporto sulla violenza di genere, in continuità con i precedenti, rappresenta un importante strumento di documentazione e di studio del fenomeno, volto a supportare l’azione di policy della Regione Toscana e a fornire un contributo alla costruzione di un modello unico nazionale di intervento. Disporre di dati e informazioni aggiornati è condizione necessaria per poter impostare azioni di governo coerenti ed efficaci di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne, fenomeno che si concentra per lo più all’interno della cerchia degli affetti familiari e delle relazioni di coppia.
Il rapporto è frutto dell’elaborazione di informazioni provenienti da banche dati diverse, costituendo pertanto esso stesso un tentativo di integrazione tra i servizi: rassegna stampa sui femmicidi, dati dei Centri antiviolenza, del progetto regionale Codice Rosa, dei consultori, dei Centri per uomini autori di violenze, del Centro Regionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza sulla violenza subita dai minori. Vengono inoltre presentati per la prima volta i dati del Centro di riferimento regionale per la violenza e gli abusi sessuali su adulte e minori. Il rapporto affronta poi un approfondimento sulle Case Rifugio presenti in regione, strutture protette nelle quali la donna, con il sostegno di operatrici formate sulle tematiche della violenza di genere, non solo viene messa in sicurezza, ma inizia un percorso complesso di uscita dalla violenza.
Per quanto riguarda i dati relativi al fenomeno della violenza di genere nella nostra regione, il Rapporto si apre con le evidenze sui femmicidi: dal 2006 al 2015 sono state 88 le donne – 7 solo nell’ultimo anno – uccise per motivi legati al genere: si tratta di 68 italiane e di 20 straniere. Il movente del femmicidio è quasi sempre la relazione intima passata o presente, o il legame di parentela, il senso del possesso. Nella maggior parte dei casi, 67, l’omicida è di origine italiana. All’interno degli 88 casi di femmicidio, i minori rimasti orfani sono 30, con gravi conseguenze dovute anche alla perdita delle figure di riferimento, la madre uccisa e il padre omicida. A fronte dei dati che mostrano in tutta la propria crudezza le conseguenze estreme del fenomeno, esiste una rete di servizi che lavora in maniera integrata per la prevenzione e per il supporto alle donne vittime di violenza. Uno dei punti nevralgici della rete di questi servizi è costituito dai Centri antiviolenza: dal 1 luglio 2009 al 30 giugno 2016 sono 15.878 le donne che si sono rivolte a un centro, 2.397 nell’ultimo periodo considerato (1° luglio 2015 – 30 giugno 2016), 221 unità in meno rispetto ai dodici mesi precedenti (-8,4%). Questa diminuzione va messa in relazione con le minori risorse a disposizione dei Centri per l’erogazione dei servizi (anche per effetto del ritardo nello stanziamento dei fondi governativi previsti dal “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”).
Tra le donne che si rivolgono ai Centri, 7 su 10 sono italiane. La forma di violenza rilevata più frequentemente dai Centri è quella psicologica(82,4%), sia per le italiane (81,6%) che per le straniere (85,3%). Le donne straniere sono, in proporzione, più spesso oggetto di violenza fisica(74,2% vs. 58,9%), violenza economica (32,1% vs. 25,9%) e violenza sessuale (11,2% vs. 7,3%), mentre forme di violenza perpetrate in misura maggiore ai danni delle utenti italiane, rispetto alle straniere, sono lo stalking (17,5% vs. 8,6%) e il mobbing (1,1% vs. 0,3%). Negli ultimi dodici mesi si rileva un aumento delle segnalazioni per violenza economica (passate dal 26,9% del 2014/15 al 30,1% del 2015/16); il fenomeno, rilevato anche per le italiane, è particolarmente significativo per le donne straniere, che più spesso convivono con il partner in una situazione di dipendenza economica.
Tra le donne straniere sono in aumento anche le segnalazioni di violenza fisica, che risultano invece in lieve calo tra le italiane.
Le donne si rivolgono ai Centri in cerca di informazioni, sostegno(ascolto, assistenza psicologica, consulenza legale) e protezione. Il partner si conferma il principale artefice della violenza (60,7%), in modo particolare per le donne straniere (74% vs. il 54,8% delle italiane). Nel 22,3% dei casi l’aggressore è invece l’ex-partner, nel 12% un parente, nel 6,6% un conoscente e solo nell’1,6% uno sconosciuto. A tale proposito è da rilevare che la propensione alla denuncia (ha sporto denuncia poco più di una donna su quattro) è inversamente proporzionale alla “vicinanza” in termini di legame intimo-affettivo tra vittima e aggressore, variabile che condiziona l’atteggiamento delle donne ancor più della gravità fisica dell’atto.
La Regione Toscana ha da tempo riconosciuto la peculiarità dei cittadini minori di età nell’ambito delle politiche sociali e del sistema territoriale di interventi e servizi da queste derivanti. Le schede presenti nell’applicativo sulla violenza di genere permettono di affermare che la violenza sulle donne perpetrata tra le mura domestiche, nei casi in cui sono presenti figli, è sempre anche violenza assistita. I dati dell’Osservatorio regionale sui minori e sulle famiglie restituiscono un aumento costante dei casi di violenza assistita: si è passati infatti dai 749 del 2013, ai 968 del 2014, fino ai 1.143 del 2015.
I dati del progetto regionale “Codice Rosa”, sviluppato sull’esperienza realizzata a Grosseto nel 2010, raccolti dalle strutture di Pronto Soccorso delle Aziende Sanitarie a partire dal 1° gennaio 2012 contribuiscono all’emersione e alla conoscenza del fenomeno della violenza. Dal 1 gennaio 2013 al 30 giugno 2016, gli accessi con “Codice Rosa” di donne adulte sono 7.642, di cui 2.416 rilevati negli ultimi dodici mesi. Gli accessi di minorenni di sesso femminile sono stati 816, di cui 259 registrati negli ultimi dodici mesi. Circa un terzo degli accessi di minorenni di sesso femminile sono riferiti a giovani donne tra i 15 (età da cui convenzionalmente si comincia a parlare di violenza di genere) e i 18 anni.
I dati del Centro di Riferimento Regionale per la violenza e gli abusi sessuali su adulte e minori, istituito all’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, presenta le evidenze su donne adulte e minori vittime di violenza e abusi di natura sessuale prese in carico: dal 1992 al primo semestre del 2016 il Centro ha accolto in totale 882 vittime, delle quali 648 adulte e 234 minori. I consultori rappresentano un’altra importante antenna territoriale per rilevare il fenomeno violenza e offrire assistenza e supporto alle vittime: nel 2015 le prestazioni consultoriali relative a casi di abuso e maltrattamento o violenza sono registrate dall’Archivio regionale delle prestazioni consultoriali (Spc). Le prestazioni registrate per abuso e maltrattamento sono state 4.206 (accessi
totali di donne e uomini, adulti e minori).
I dati contenuti nell’archivio distinguono quattro aree di intervento: quasi la metà (il 48,6%) riguarda casi di maltrattamenti fisici; il 31,5% abusi psicologici, il 12,8% casi di negligenza genitoriale ed il 6,7% gli abusi sessuali. Oltre al numero delle prestazioni, è disponibile anche il dato relativo alle persone assistite nel corso 2015: complessivamente sono stati assistiti per casi di abuso e maltrattamento 962 utenti, di cui 830 donne. Tra queste, 100 sono minorenni.
Per quanto riguarda i dati dei Centri toscani per il recupero degli uomini autori di violenze, nel primo semestre del 2016 sono state effettuate 52 prese in carico. In circa 1/3 dei casi la decisione di rivolgersi al Centro è avvenuta su iniziativa spontanea da parte dell’uomo, mentre risulta frequente (11 casi) la spinta da parte della partner o ex partner, presumibilmente vittima delle violenze agite dall’uomo. Tra gli uomini, emerge la tendenza a rivolgersi al centro territorialmente più prossimo, mentre sono sporadiche le prese in carico effettuate nei confronti di uomini residenti fuori dalle 4 province “di riferimento” dei Centri; Firenze, Livorno, Lucca e Pisa.
Quest’ultimo dato fa emergere come l’offerta sul territorio di percorsi rivolti a uomini autori di violenze nei rapporti con l’altro sesso favorisca l’emersione della domanda di accesso a questo servizio da parte dei maltrattanti, anche grazie ai rapporti che i Centri hanno nel frattempo costruito con le istituzioni del territorio; di converso, occorre invece domandarsi cosa accade in quei territori dove tali percorsi non sono stati ancora attivati o dove, per l’uomo, raggiungere uno dei quattro Centri già attivi in Toscana risulti logisticamente sconveniente.
Il rapporto, come anticipato, affronta quest’anno un approfondimento qualitativo sulla Casa rifugio, che si differenzia dalle funzioni svolte dal Centro antiviolenza perché in questa la donna e i suoi figli, sia che si tratti di ingressi programmati sia in emergenza, si trasferiscono temporaneamente, nascondendosi all’aggressore. Non tutte le situazioni di emergenza evolvono in percorsi in Casa rifugio e non tutte le donne inserite in Casa rifugio si sono trovate in situazioni di emergenza: esistono inserimenti concordati, all’interno di percorsi in cui non si è ravvisato un pericolo immediato, ma, ad esempio, un rischio prevedibile. Un esempio tipico sono i casi in cui, grazie alla collaborazione della rete territoriale, la donna e le operatrici sono a conoscenza del fatto che sta per essere consegnata al maltrattante una qualche notifica giudiziaria a seguito di una denuncia: in queste situazioni, la donna entra in Casa rifugio con un percorso concordato, che può essere preparato in precedenza.
Attorno alla Casa rifugio deve stringersi, dunque, la rete dei servizi per sopperire a tutti i bisogni che donna e minori esprimono. Le 18 case rifugio presenti in Toscana, gestite dagli stessi soggetti del terzo settore che hanno fondato e che si occupano dei Centri antiviolenza, possono accogliere fino a 69 donne, ovvero un posto disponibile ogni 24.581 donne residenti oltre i 16 anni. Se consideriamo anche i bambini, i posti letto totali sono 141. Nel corso del 2015, nelle 14 Case rifugio esistenti (4 sono state aperte nel 2016), sono state accolte complessivamente 105 donne. Le donne con figli rappresentavano il 67,6% del totale e sono 109 i figli che hanno dimorato con le madri nelle strutture. All’interno delle 18 Case presenti in Toscana, le donne sono supportate da 75 operatrici retribuite e da 121 volontarie.
Nonostante una ancora persistente difficoltà nel reperire e confrontare dati, si è assistito comunque in questi anni ad un incremento dell’impegno diffuso su tutto il territorio regionale rispetto al riconoscimento ed alla consapevolezza della portata del problema a livello collettivo. Le azioni di sensibilizzazione, prevenzione e formazione svolte dai Centri
antiviolenza e dalle istituzioni hanno funzionato dove era più facile e probabile che potessero funzionare, mentre la dimensione sommersa della violenza deve essere ancora scoperta ed indagata. Se dunque il fenomeno rimane di grande portata, si registrano alcuni elementi che ci portano a credere che il lavoro di rete, pur con tutte le sue difficoltà e specificità stia cominciando a dare qualche frutto. Il lavoro svolto negli ultimi dall’Osservatorio Sociale Regionale della Toscana, attraverso il gruppo di lavoro sulla violenza di genere, ha indubbiamente contribuito a costruire pratiche di collaborazione e condivisione delle informazioni tra i diversi soggetti impegnati in questo ambito.