
Il presidente del Consiglio regionale ha aperto la seduta solenne dell’assise per la giornata della memoria. Dopo il saluto a tutte le autorità presenti, Giani ha pronunciato un intervento da cui è emersa vivida l’esperienza appena conclusa del viaggio con il treno della memoria.Il presidente è rimasto “commosso, l’altro ieri a Cracovia, a vedere i 501 ragazzi del Treno della Memoria ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti”; commosso, a vedere tutti quei diciotto e diciannovenni ascoltare la voce di Andra e Liliana, che a 4 e 6 anni vissero Auschwitz nella baracca adibita agli esperimenti di Mengele, impegnato sui bambini che “sembravano” gemelli (le due bambine non lo erano, ma si assomigliavano tantissimo e per questo finirono lì). “Esperimenti condotti con ganci, corpi contundenti inseriti in modo straziante nei corpi dei bambini”, per capire, infine, “come accelerare il processo di nascita dei gemelli e quindi l’espandersi della razza ariana”.
Il viaggio in Polonia, nell’orrore nazista, è stato condiviso con la vicepresidente Lucia De Robertis, Tommaso Fattori (ancora sul treno) e Manuel Vescovi. “Abbiamo vissuto insieme, come un tutt’uno, l’intensità di questi momenti”, dice Giani, che elogia a più riprese il viaggio organizzato “meritoriamente dalla Regione”, per la decima edizione, a cui hanno partecipato quest’anno l’assessore Cristina Grieco e la vicepresidente Monica Barni.
Giani richiama l’importanza di consentire oggi, a ragazzi di 18 e 19 anni “di essere testimoni di quanto accadde; domani devono diventare ambasciatori, per tramandare e insegnare cosa è accaduto quando non ci saranno più i superstiti”. Ambasciatori della crudeltà e della follia che il viaggio fin dentro i luoghi del massacro mostra senza nulla nascondere. Il presidente descrive i metodi dell’uccisione di massa, “la catena umana” per procedere a quel massacro che si intensificò proprio dal settembre ’45, quando ormai i nazisti sapevano che era finita. “Le guide – aggiunge Giani – ricordavano che si è parlato di 1 milione persone che erano consapevoli e collaborative nel decretare la catena di distruzione di massa; erano a conoscenza e collaboravano”.
Agli ebrei va “il senso profondo della solidarietà assoluta”, e con loro “ai sinti, ai rom, ai diversi..”. Di ogni tempo e anche di quello più recente. Giani cita la Yugoslavia di 20 anni fa, “oggi le concezioni dell’Isis”, e anche all’affermarsi, in Austria, di chi ritiene che “quei valori che presiedevano a questa ideologia totalizzante” abbiano “dignità di espressione ancora oggi”.
Le “immagini devastanti” che quei 501 ragazzi oggi hanno negli occhi devono perciò attivare un “monito”: queste sono occasioni in cui ciascuno, nel ruolo che svolge per le istituzioni, trova l’energia per trasmettere il miglior antidoto, “i valori di democrazia e libertà, l’elevazione culturale dell’uomo”. Perché “la civiltà possa crescere nel rispetto degli altri”. “Il nostro essere qui è fare attivo”, conclude Giani, che ringrazia “di cuore” tutti i presenti. Ovvero l’importante parterre di Istituzioni e autorità che all’inizio di seduta il presidente del Consiglio ha nominato e salutato per ricordare “una Toscana che si stringe intorno alle vittime, ai superstiti, a coloro che hanno vissuto direttamente il dramma che avvenne con l’Olocausto e ai partecipi nella Memoria chiamati qui oggi”.
“Oggi ricordiamo – ha esordito il presidente della giunta regionale Enrico Rossi – che nel cuore dell’Europa vennero torturati, affamati, sterminati 10 milioni di individui ritenuti ‘scarti della società’: disabili, Rom e Sinti, omosessuali, oppositori politici, prigionieri di guerra, gli appartenenti alle comunità ebraiche”. Il presidente ha sottolineato che è necessario chiedersi come questo sia potuto accadere nel cuore dell’Europa civile, come si siano potute realizzare “quell’irreggimentazione di massa” e “quell’anestesia emotiva” che hanno permesso di organizzare una macchina di morte con sistemi moderni, ricorrendo alla tecnologia. Rossi ha ricordato che in Germania, dopo la Grande guerra, le condizioni umilianti imposte dai vincitori e la crisi economica gettarono buona parte della popolazione nella povertà e nella disperazione; già da tempo, inoltre, era iniziata l’identificazione della nazione con la razza. I nazisti ebbero dunque gioco facile nel trovare negli ebrei il nemico interno contro cui scatenare la rabbia della popolazione frustrata. “Ma la belva immonda – ha proseguito – non è stata sconfitta, è accaduto e può accadere di nuovo, anzi accade nuovamente, basti pensare agli eventi occorsi in Ruanda, Bosnia, alle guerre in Medio Oriente, Africa, Asia e ai milioni di persone che vivono in condizioni di fame e stenti. Senza valori e senza tenere saldi i principi di umanità e solidarietà può accadere di nuovo”. Il Treno della memoria anche quest’anno è partito con oltre 500 studenti, e Rossi ha ribadito che la Regione Toscana, che dal 2002 si impegna ad organizzare questa e altre iniziative, vuole continuare su questa strada. “L’obiettivo è vaccinare i nostri ragazzi contro il virus della violenza e promuovere la cultura dei diritti universali, una cultura che riconosca il valore dell’articolo 3 della nostra Costituzione proiettato a livello mondiale”. “Questa è una necessità in un mondo globalizzato come quello attuale. Un mondo – ha proseguito Rossi – in cui la politica è stata eccessivamente ancillare rispetto agli interessi finanziari. Dobbiamo trovare una strada per rimettere al centro le persone, per restituire alla politica la forza di orientare le scelte. Dobbiamo provare a costruire un mondo secondo quanto previsto dall’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata a Parigi il 10 dicembre 1048” per cui tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti, sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. E ha concluso: “Dobbiamo domandarci: questo principio è veramente da noi adottato nelle scelte politiche e nella vita di tutti i giorni? Io temo di no e questo deve indurci a riflettere e ad agire di conseguenza”.
Prima di cedere la parola a Dario Bedarida, presidente della Comunità ebraica, Eugenio Giani ha salutato Renzo Montini, presente in Aula, “che aveva quindici anni quando fu deportato a Mauthausen”. Tutta l’aula lo ha salutato con un lungo applauso in piedi. Nel suo intervento, Dario Bedarida ha rivolto una richiesta al Consiglio regionale e alle istituzioni locali. “Anche a Firenze, come già in altre città in Toscana, vengano collocate le pietre d’inciampo. In questa città – ha ricordato – furono deportati 248 ebrei iscritti alla Comunità e altri 150 che a Firenze avevano cercato rifugio. I loro nomi sono scritti nelle due lapidi nel giardino della sinagoga. Ma i rastrellamenti, gli arresti, l’inizio delle deportazioni avvenne nelle loro case, per strada, nei rifugi provvisori che avevano trovato. È giusto che oltre ai loro nomi, anche i loro luoghi in città non vengano dimenticati. Affinché, se passiamo in una strada del centro, dobbiamo e possiamo ricordare che cosa è avvenuto in quel luogo e ci impegniamo a fare in modo che quello che è già accaduto non si ripeta”. In mille città d’Europa, tra queste in Italia a Roma, Torino, Milano, ha spiegato Bedarida, sono presenti quasi cinquantamila pietre d’inciampo. “In Toscana ce ne sono qualcuna a Livorno, a Prato, di recente anche a Siena. Piccole targhe di ottone incastonate sul selciato per dare un nome alle persone di fronte alla casa dove sono state uccise o deportate. Vi chiedo di attivarvi perché anche a Firenze venga utilizzato questo simbolo di civiltà. Ci richiamano il nostro passato, le atrocità, gli errori e ci aiutano a non dimenticare”.
Il presidente della comunità ebraica di Firenze ha invitato ad andare oltre “la tolleranza, che implica sopportazione e si basa sul pregiudizio. Dobbiamo essere contrari a tutto questo, facciamo un passo avanti, prima con l’accettazione, poi con l’accoglienza”. E a non essere “indifferenti, perché essere indifferenti accentua la radicalizzazione e le conseguenze dei fenomeni che si presentano. Per questo dobbiamo sapere, dobbiamo studiare, dobbiamo ricordare. Capire come nascono e si sviluppano i fenomeni, combatterli, cercare di non fare più gli stessi errori”.
A Simone Neri Serneri, presidente dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana, l’intervento conclusivo di questa seduta solenne. “A cosa serve celebrare la giornata della memoria? La memoria è uno strumento prezioso e fragilissimo, è risorsa che si consuma e vive solo perché si riproduce e si rielabora nel dialogo con le generazioni e soprattutto con il tempo presente”. Per “fare educazione civile”, dice Neri Serneri, la memoria deve diventare “strumento di conoscenza del presente”. Per non perdere di vista che “il male era tra noi, nelle nostre città”, che “i carnefici erano uomini e donne come noi, come le loro vittime”, la memoria “deve coniugarsi con la conoscenza storica. Oggi più che mai, la cultura e la conoscenza storica sono risorse indispensabili”. La Shoah “è divenuta paradigma di tutti i genocidi che lastricano la storia dell’umanità. Appartiene a pieno titolo alla modernità novecentesca. Non fu un delirio – avverte –, fu una risposta alle sfide poste da quella modernità”.
“Come docente di storia contemporanea – ha detto ancora Neri Serneri – in una delle Università di questa Regione (Siena, ndr), l’invito a partecipare alla seduta di oggi è anche un riconoscimento per quei ragazzi che nello studio della storia contemporanea cercano uno strumento per comprendere il mondo in cui vivono”.