
La Cgil Toscana mette nel mirino le modifiche alla legge sulle cave di marmo e propone il ‘modello’ Trento alla Regione. “Una recente sentenza del Tar ha ribadito la legittimità, anche nell’attività di escavazione, del piano paesaggistico regionale, da noi ritenuto una sintesi alta tra le esigenze del lavoro e quelle dell’ambiente – dice Maurizio Brotini, segretario Cgil Toscana -. Sulla legge sulle cave, la giunta regionale ha apportato modifiche senza alcun confronto coi sindacati, un errore di metodo e di sostanza. Condividiamo le dichiarazioni del presidente Enrico Rossi in merito alla necessità del miglioramento delle condizioni concrete di lavoro, della trasformazione in loco del prodotto, di una maggiore considerazione circa la finitezza del bene: sono obiettivi anche per noi, nelle nostre proposte di modifica alla legge indichiamo un percorso per raggiungerli. Oltre a queste, visto che il marmo è una risorsa non infinita, è auspicabile arrivare anche a un tetto massimo per le estrazioni, con un contingentamento dei quantitativi”.
“Abbiamo condiviso i principi del piano paesaggistico regionale; è stato fatto un buon lavoro, si è cercato un equilibrio tra lavoro e ambiente. Ora la giunta regionale ha approvato, con un mero atto di adeguamento a normative esterne, una serie di modifiche alla legge sulle cave. Adesso, secondo noi, su sicurezza, trasparenza, legalità e ricaduta economica dei beni sul territorio si può e si deve fare un passo in più”: così Giulia Bartoli, segretaria generale Fillea Cgil Toscana, presenta le ragioni delle proposte di emendamento alla legge avanzate dalla categoria e dalla Cgil Toscana, in attesa della discussione in Consiglio regionale.
Cgil e Fillea Cgil Toscana propongono un inserimento della clausola sociale (come fatto alla Provincia di Trento): “l’esercizio dell’attività sottoposta a concessione/autorizzazione (subingresso) deve prevedere la garanzia per i lavoratori già dipendenti del concessionario uscente di essere assunti alle medesime condizioni da parte del nuovo concessionario, l’applicazione del contratto nazionale lapidei sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi sul territorio nazionale e la contrattazione territoriale e aziendale. A Trento – aggiunge Cgil -, nell’apposito piano redatto, già nei primi articoli s’impone il tema del lavoro e della legalità: un ottimo modo di approcciarsi al problema. Sempre sul modello Trento, sarebbe utile prevedere l’obbligo di lavorazione attraverso l’utilizzo dei propri dipendenti, vietando di fatto altre forme di lavoro/appalto”. Cgil propone anche di vietare la partecipazione alle gare o l’autorizzazione a coloro ai quali negli ultimi tre anni è stata ritirata o è decaduta per gravi violazioni commesse e la decadenza/ritiro delle concessioni/autorizzazioni in caso di violazioni delle norme sulla sicurezza e sulla regolarità del lavoro. Come nel caso si verifichi un infortunio grave accertate condizioni e responsabilità, utilizzo di lavoratori a nero. Prevedere sanzioni pesanti anche in caso di mancato rispetto delle norme sull’orario di lavoro (interessante l’introduzione di un meccanismo telematico di verifica delle presenza e delle ore lavorate, come fatto per la tramvia fiorentina) Ai fini dell’applicazione cogente degli indirizzi del Pit sull’obiettivo della lavorazione in loco del 50% del materiale estratto, è indispensabile prevedere delle modalità di verifica degli impegni presi nelle convenzioni e nei progetti oltre ad un regime sanzionatorio. “Troppi soldi finiscono in mano a pochi, per un bene che è collettivo”, dicono Brotini e Bartoli.