Calzaturifici, ok export. Aumentano i lavoratori

15 novembre 2019 | 10:02
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Calzaturifici, ok export. Aumentano i lavoratori

Calzature, il made in Italy – ed in particolare il toscano – è sempre più in voga nei mercati esteri: nei primi sei mesi del 2019 l’export italiano del comparto ha infatti registrato un significativo +7,1% in valore (il prezzo medio ha raggiunto la cifra di 47,55 euro/paio, +8,2%). Il dato emerge dal report sull’industria calzaturiera italiana–primo semestre 2019 – elaborato dal Centro studi di Confindustria moda per Assocalzaturifici. A livello regionale, tra le province toscane – di cui Lucca è da sempre la protagonista – si registra una leggera contrazione del numero di aziende calzaturifici e produttori di parti di calzature che diminuiscono del – 1,8% mentre aumentano i lavoratori (+ 117). Si riducono anche le ore di cassa integrazione (-16,1%).

Sul fronte dell’export, la Toscana è la regione italiana con la migliore performance (+26,3%) ben oltre la media nazionale. Le principali destinazioni sono Svizzera, Usa, Francia e Regno Unito. In particolare le esportazioni verso il paese elvetico che copre da solo il 43% del totale sono cresciute del +65,4%. Bene anche lo sviluppo sul Far East (+14%). 
Sul piano nazionale la fotografia scattata dalla nota congiunturale rileva come, malgrado la performance delle esportazioni, persistano nello scenario attuale alcune difficoltà dovute in primis alla cronica debolezza dei consumi interni – che, già provati da un decennio di lenta erosione, hanno registrato nella prima metà dell’anno in corso un intensificarsi della contrazione degli acquisti delle famiglie (-3,7% in quantità, con trend ben più severi per il dettaglio tradizionale). A questo quadro va ad aggiungersi un panorama di incertezze dovute alle situazioni internazionali: dal probabile protrarsi di tensioni commerciali e venti protezionistici, al rallentamento di significative economie (Cina e Germania su tutte), alla mancata ripartenza di mercati di fondamentale importanza per alcuni distretti calzaturieri. Basti pensare alla Russia che, dopo la battuta d’arresto del 2018, registra nuovamente cali superiori al 15%), fino alle incognite su tempi e modalità della Brexit, col pericolo ‘no deal’ sempre incombente.
“Per superare questo momento non facile è necessario investire su noi stessi e sulle nostre competenze – afferma Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici –. È fondamentale formare nuove figure professionali in grado di innovare le aziende del calzaturiero Made in Italy e coniugarsi al meglio con la nostra tradizione e gli standard di eccellenza che caratterizzano la nostra produzione. La formazione, affiancata da mirate strategie di internazionalizzazione e da importanti iniziative fieristiche tra cui il Micam, è la risposta concreta con cui possiamo avviare un processo di rilancio del calzaturiero italiano e confermarne il primato nel mondo. Un settore fondamentale per la nostra economia e che può far da volano all’intero sistema paese”. 
Ritornando in ambito italiano, l’evoluzione nel complesso premiante delle vendite estero – che ha spinto l’attivo del saldo commerciale dei primi 6 mesi ad un consolidamento significativo (+10,7%) – nasconde in realtà un’ampia eterogeneità di performance aziendali, che vede la presenza – accanto ai brillanti risultati realizzati da molte griffe internazionali del lusso cui diverse aziende fanno da terzista (come dimostrano le crescite rilevanti dei flussi verso la Svizzera, tradizionale hub logistico-distributivo dei grandi brand, e verso la Francia) – di un numero non trascurabile di imprese che, in un contesto così complesso, ancora stentano ad invertire la rotta e ad intraprendere dinamiche favorevoli. Non mancano mercati in espansione (Nord America e Far East segnano aumenti a doppia cifra in valore), ma l’incremento risulta spesso accompagnato da contrazioni in volume (prossime al -4% per Usa e Canada; più contenute, -1,1%, per i Paesi dell’estremo Oriente, con il Giappone in affanno). 
Nel dettaglio, la produzione nazionale è scesa del -2,3% in volume, dato che nelle aziende più piccole del campione intervistato (sotto i 15 milioni di fatturato) si attesta sul -4,5%, mentre sul piano dei consumi interni l’unico comparto in salute è quello delle scarpe sportive/sneakers (+0,8% quantità e +2,9% in valore), a fronte di un calo sensibile delle calzature ‘classiche’ per uomo e donna (rispettivamente del -9,5% e del -8,3% in volume). Per quanto riguarda i canali di vendita, continua l’incremento dell’online (+10,3% in volume e +17,3% in spesa), che ha coperto l’11% in quantità del totale acquisti del semestre, mentre sono in sofferenza il dettaglio tradizionale (-11% le paia vendute, con una diminuzione prossima al 16% in spesa) e l’ambulantato (flessioni attorno al -14%). Sul fronte occupazionale, prosegue il calo nel numero di aziende e nella forza lavoro del settore: il primo semestre 2019 ha chiuso con un saldo di -119 calzaturifici (tra industria e artigianato), pari al -2,6%, e -492 addetti (-0,7%) su dicembre 2018. Gli arretramenti si fanno ancor più pesanti considerando, oltre ai calzaturifici, i produttori di componentistica (-75 aziende e -493 addetti): nell’insieme, dunque, -194 imprese e -985 addetti rispetto a fine 2018. Infine, le ore di cassa integrazione autorizzate per le imprese della filiera pelle sono salite nei primi 6 mesi del +27,1%, sfiorando i 4 milioni di ore.