L'indagine

Maxi evasione fiscale, in manette tre imprenditori

22 ottobre 2020 | 10:03
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Maxi evasione fiscale, in manette tre imprenditori

Secondo le fiamme gialle lucravano facendo fallire le società fantoccio che venivano costituite

Tre imprenditori in manette per un’evasione fiscale di 11 milioni di euro. È il risultato dell’operazione della guardia di finanza di Pisa denominata Ghost Iron. I finanzieri hanno anche sequetrato oltre 340mila euro. Le società pisane, che operavano nel settore della carpenteria metallica, secondo le fiamme gialle erano completamente fuori legge.

E’ da questa mattina, alle prime luci dell’alba, che i militari della guardia di finanza pisana stanno dando esecuzione alle misure catuelari dei domiciliari, emesse dal gip, nei confronti dei tre imprenditori, accusati, a vario titolo, di evasione fiscale, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio. Il sequestro disposto sui loro conti correnti ammonta a 341mila euro

Gli imprenditori, secondo l’indagine condotta dalla guardia di finanza, avviata già dal 2016, agivano secondo uno schema ben collaudato: venivano costituite società che, per brevi periodi, svolgevano lavori specificamente commissionati, che, una volta consegnati, davano avvio alla seconda fase della frode. I soggetti giuridici venivano fatti fallire a seguito della cessione, generalmente con contratti fittizi, degli asset patrimoniali a vantaggio di una nuova società, riconducibile agli stessi indagati, pronta ad entrare sul mercato per l’esecuzione di nuove commesse. Oltre alla scia dei debiti con i fornitori, il meccanismo prevedeva la creazione di società’ cosiddette cartiere che “fornivano” costi falsi per abbattere gli utili e frodare il fisco.

Il danno erariale accertato dall’accusa ammonterebbe a più di 5 milioni, con emissione e utilizzo di fatture false per oltre 11 milioni di euro.

L’ingegnoso meccanismo, spiegano dal comando provinciale, che prevedeva anche la distruzione delle scritture contabili, avrebbe consentito agli imprenditori di conseguire ingenti guadagni che, dalle casse delle aziende, finivano sui conti correnti bancari personali degli indagati.