Tra ironia e disincanto, la terza volta dell’investigatore Frenk Manescalchi

L’ultima indagine nata dalla penna di Franco Fantozzi nella recensione del professor Luciano Luciani
Il consueto scenario provinciale toscano declinato secondo i modi propri del romanzo poliziesco; una intricata matassa delittuosa, se possibile ancora più complicata del solito; le squadre dei cattivi e dei buoni che si fronteggiano a colpi di ragionamenti intelligenti e di fulminee intuizioni: i primi per occultare il male compiuto, i secondi per svelarne moventi, colpevoli e prassi.
Sono queste le convenzioni, codificate ormai da quasi due secoli, che hanno fatto la fortuna del romanzo d’indagine e che Franco Fantozzi rielabora, da qualche anno a questa parte, secondo una sua originale ricetta fatta di ironia, autoironia e particolarissimi colori, afrori e sapori tipici della città delle Mura, dei suoi dintorni e delle sue genti.
È nato così il personaggio seriale, ormai alla sua terza avventura sulla pagina, di Frenk Manescalchi, unico e maturo titolare della omonima agenzia investigativa, che si vanta – a buon diritto, perché finora non ha mai sgarrato – di risolvere qualsiasi caso, anche il più ingarbugliato, in tre giorni al massimo. Un uomo del secolo scorso, Frenk, sprovvisto di smartphone, che usa ancora il telefono fisso a rotella e guida una vetusta macchina d’epoca, una 2 cavalli, fedele alla linea, ma irrimediabilmente scomoda e lenta.
Inadeguato e non poco sul piano tecnologico, il nostro, si autocelebra comunque come il più grande “investigatore surreale” di Lucca, d’Italia e, forse del mondo: può contare, infatti, come sanno i suoi affezionati lettori, su due straordinari aiuti extra sensorial perception. Che, sia pure irregolarmente, gli vengono sia da Lucrezia, la bianca gatta di casa, sia, niente meno, dal Volto Santo, il crocefisso ligneo di colore bruno venerato dai lucchesi, e non solo, da loro collocato da secoli nella cattedrale della città.
Chissà come e perché, l’una e l’altro gli parlano direttamente nella mente fornendogli indicazioni dal colore oscuro e di difficile decrittazione circa la risoluzione dei casi che lo assillano professionalmente. Poi, come se non bastasse, il nostro private eye può schierare al suo fianco l’apporto, amichevole e disinteressato, della Similanza, una formidabile squadra di aiutanti: una congrega di soggetti che opera in quella terra di nessuno compresa tra lecito e illecito, legalità e illegalità. I suoi componenti hanno occhi acuti, orecchie sensibilissime e quel che vedono e intendono lo raccontano solo se interrogati dalle persone abilitate: una straordinaria struttura investigativa e informativa che raccoglie dati, li rielabora e li restituisce solo ad alcuni e non ad altri… E se Dio vuole, Frenk è nelle loro grazie.

Anche la storia raccontata nelle pagine di Quella volta di Piccolo Cesare, se, come le altre, privilegia un taglio apparentemente scanzonato, risulta invece intrisa della convinzione pessimistica per cui niente è mai come sembra e che il male può annidarsi proprio là dove meno te lo aspetti. Per esempio, pure e, forse soprattutto, in ambienti sociali elevati e per ciò stesso apparentemente intangibili al richiamo del male e del crimine.
Più semplice e comodo, allora, prendersela col personaggio più fragile, più problematico, un drop out sgualcito, ciancicato, malmesso e sfortunato che appare ben provvisto di tutte le stimmati necessarie per risultare un possibile colpevole. Ma lo sguardo del nostro Frenk Manescalchi è più largo, più lucido e meno condizionato da facili pregiudizi classisti e sarà proprio grazie alla sua testardaggine, alla sua notoria faccia tosta, al suo fiuto investigativo se sarà possibile ribaltare il tavolo di un’indagine fin troppo a senso unico.
Il vulnus del misfatto, per di più attribuito a un innocente, sarà così finalmente sanato, gli equilibri morali compromessi dal delitto saranno ricostituiti e legge e ordine torneranno a regnare nella falsamente tranquilla città delle Mura. Con buona pace delle forze dell’ordine sempre un po’ lente e opache e di tutti i bravi cittadini, abbienti e meno abbienti. E finalmente Frenk potrà tornare ai suoi vini e superalcolici di pregio, ai suoi buoni cibi, e, per quanto ormai un po’ agée, alla sua storia d’amore con la bella e sensuale avvocatessa Manuela. Ma, si sa, l’amore, quello vero, non conosce mai limiti anagrafici.
Luciano Luciani
Franco Fantozzi, Quella volta di Piccolo Cesare. La terza indagine dell’Agenzia Frenkenson, Collana Profondo Giallo, Carmignani editrice, Santa Croce sull’Arno (Pi), 2021, pp. 130, euro 13.
L’autore. Franco Fantozzi, nato a Lucca nell’ottobre 1950, ha scritto canzoni, cantato in gruppi musicali e come solista. Collabora alla rivista di racconti on-line l’Atipico, adora la musica, i fumetti e andare in bicicletta. Così ha scritto e stampato in proprio nel 2016 Comèrimo(in lucchese “come eravamo”), un libro tratto da ricordi personali giovanili. Adesso ha deciso di raccontare le gesta del primo detective surreale che Lucca abbia mai avuto con le sue storie dell’agenzia investigativa Frenkenson, dove opera il titolare Frenk Maniscalchi: Frenk è scritto proprio così, perché il padre, in piena americofilia, voleva chiamarlo Frank, ma l’impiegato dell’anagrafe lo scrisse erroneamente.