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Cuba, ovvero l’isola che (forse) non c’è

23 ottobre 2020 | 14:46
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Cuba, ovvero l’isola che (forse) non c’è

I ricordi e le emozioni di un viaggio del 2014 per sfuggire al pensiero del coprifuoco

Il coprifuoco, un vocabolo che ci riporta nella maggior parte dei casi a memorie lontane solo ascoltate come favole cupe e ora purtroppo da affrontare. È brutto per chiunque dappertutto, ma mi ha colpito che il primo paese ad istituirlo in questo periodo sia stato Cuba, l’1 di settembre. Mettere il coprifuoco a Cuba è come imbavagliare i sogni o dire ai bambini di non far rumore.
Coprifuoco accendi il fuoco dei ricordi: il mio racconto è del 2014 e qualcosa forse è cambiato ma chissà…

Cuba – l’isola che non c’è

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Partire… viaggiare… tornare a casa… e se casa fosse su un’isola che forse c’è forse non c’è? A Cuba, un’isola cosparsa di storia come polvere magica ma fuori dal presente come lo intendiamo, come un viaggio all’altro mondo. Niente trance o medium, solo un tuffo nel nostro passato. Ci muoviamo e non ci muoviamo, come su una sedia a dondolo: una costante di Cuba, dappertutto.

Il nostro benessere, attualmente alquanto malaticcio, proviene dal boom degli anni 60, mitici e mitizzati da tanta moda e anche da tanta paura del futuro: quando il futuro è incerto cosa c’è di meglio che rifugiarsi nel passato, così conosciuto e protettivo in quanto già accaduto?

Ecco, a Cuba il presente è più o meno il 1961, anno di inizio dell’embargo Usa. Totale, eccetto gli aiuti dalla Russia fino al patatrack del 1991 e dagli amici del Venezuela. Qualcosina dalla Cina. Dal 1991, senza il polmone sovietico, si vive il periodo especial. Tradotto vuol dire che se prima c’era una economia autarchica assistita, poi si toglie “assistita”: regna un’autarchia mista ad un’arte del riciclo sconosciuta a chiunque altro. Quindi, direte voi, cosa c’è di “boom” a parte i rumori fantasiosi che provengono da macchine da fumetto con motori tenuti insieme da colapasta e fil di ferro?

Boom! le pin up, e tutti stiamo pensando a quelle e a quello, ma tanto loro sono nel ghetto turistico a nord, Varadero e co. Questo non è interessante e non l’ho neanche visto, perciò non potrei dirvi davvero niente. Meglio tradurre le tempeste tropical-ormonali in qualsiasi casa de la musica in centro dell’Havana come nel più piccolo paesino e vedere la felicità spensierata di tutti quelli che ballano

Boom! Nessuna cementificazione. A parte canna da zucchero e rum praticamente nessuna industria. Nessun inquinamento. Il paesaggio è indescrivibile, sembra in 3d per la pulizia dell’aria e per i colori, uno pensa certo è sempre in 3d anche da noi e invece no.

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Boom! Nessuna pubblicità di prodotti. Difficile spiegarlo. Riuscite ad immaginarlo? Per le strade e soprattutto per LA STRADA, la carretera central , si potrebbe dire un’arteria, anzi no, una vena di traffico come forse non l’avete mai conosciuto (anche gli asfalti cambiano nei tempi) si rincorrono solo pochi anche se costanti cartelli celebrativi della revoluciòn e, in prossimità di ogni paese, della qualità rivoluzionaria specifica di quel paese e con i ritratti degli eroi locali. La possiamo chiamare pubblicità dell’autostima? Punto e basta. Idem nelle città.

Boom! L’ospitalità della gente e una tranquillità per tutti a tutte le ore praticamente dappertutto. Per la statistica ci sarà anche qualcuno che avrà avuto problemi, ma spesso occorre ascoltare bene i dettagli per capire che, dappertutto, certi problemi si possono anche evitare. Se favoriti, arrivano a tutte le latitudini.

Boom! Non c’è internet, o se c’è non funziona. C’è nei resort nei grandi alberghi ma… allora non siete proprio a Cuba.
Un po’ di ansia all’inizio e poi una pace assoluta vi pervade e il tempo, il vostro tempo che non vedevate più…da tempo, vi invade e vi coccola.

Mettete insieme i boom e sentirete un ritmo “siento un bongo, mamita, me estan llamando…”: siete voi che state tornando alla vostra dimensione senza la preoccupazione di tutte quelle impalcature che dobbiamo usare abitualmente per sembrare più grossi, più blu, più triangolari, più…più di quello che siamo o addirittura tutt’altra cosa.

Cosa di meglio che festeggiare con un brindisi? Dar da bere agli assetati…grande idea farlo con il rum! Non starò a darvi le ricette di moijto (la mentuccia aperitiva), daiquiri (secco e deciso e poi dai… Hemingway preferiva quello…) e pinacolada dai profumi inebrianti e i colori coloniali.
La differenza di bere quei drink a Cuba? A parte TUTTO, basterebbe solo la quantità di rum che ci mettono!

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Sì sì lo so… state pensando: “ma come? Ma si è dimenticato…” no: è che a me il Cubalibre mi sta antipatico, con quel nome a presa in giro, visto che fu fatto per celebrare un cambio di padrone a casa d’altri, non vedo dove sia libre una Cuba del genere…
Un’origine linguisticamente infida in un drink nato fra coca cola quella originale e il rum, anche quello originale per festeggiare un’alleanza fra Usa e Cuba dopo la cacciata degli spagnoli per far diventare poi Cuba un protettorato americano (e se gli Usa facevano i protettori, indovinate cosa facevano fare a Cuba): una delle idee panamericane che cambiavano i padroni ma non gli schiavi. Una dannazione di nome in un drink, spero solo che non ne facciano il simbolo della riunificazione, un’altra idea panamericana, senza neanche la fatica di mandare via gli spagnoli.

Via la tristezza con un bel Guarapo, succo di canna da zucchero (provare per credere, ve la spremono davanti con quelle bellissime macchine di memoria galileiana. E ron. Claro que sì!

In una casa particular tutto è fatto di piccole grandi cose, un kitsch mix neanche a dirlo coloratissimo e profondamente saporito per tutti i sensi. C’è un qualcosa di tuo in ogni cosa. Ogni cosa, quasi anche ogni persona sembra conosciuta, o che ti conosca. Ancora una volta l’atmosfera è avvolgente, si potrebbe dire vintage come vintage è tua nonna o la mamma. Chi mai ha una nonna Ikea?
Tutta l’arte da quadro vivente salta fuori nelle composizioni della frutta e delle marmellate all’ora di colazione nelle stanze-cornici o nella cena con luci trovate qua e là. Frutta con nomi e forme da far girar la testa: saboco o maracuja secondo dove siete guayaba, guanabana… e le banane incerte come il dondolo; le piccole buone da mangiare, i grandi platanos invece da friggere a grossi dischi.

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Grandi bar con legni austeri e piccoli ristoranti con piatti buoni. Birra Bucanero (forte) o Cristal (leggera), ron (rum) siempre (beh…sempre, no?). Pollo alla cola, ropa vieja (carne sfilacciata, verdure riso e tante spezie) moros y cristianos (fagioli scuri e riso bianco a ricordare la convivenza possibile fra uomini di colori opposti), chicharritas (dischi sottili di banana) fritte, aragoste che sembrano avere il vestito da ballo e il rossetto e torte glassate coloratissime (per un Cubano il bianco e nero deve essere un’aberrazione cromatica) che possono sfidare il caldo afoso e girano per le strade a libera offerta.
A Santa Clara su un vassoio di legno portato a fatica ma con stile da un omino magro ho visto passare un maialino arrosto. Non glassato. E dietro una schiera festante di grandi e piccini.

I negozi alimentari sono perlopiù lungo la strada con ogni, poca, cosa a vista, a portata di mano. E quando finiscono i muri, le cose da mangiare, a vista, a portata di mano sono sulle mani di chi vi sorride dai bordi di strade fuori mano, presenti solo nelle memorie e nei sogni. Se avrete la fortuna di volare senza ali verso Baracoa, lontana da tutto, potreste gustarvi un cucuruchu, un conocartoccio di foglia di banano pieno di noce di cocco, zucchero, guava, qualche agrume e ananas. Qui non ci sono barrette ma la natura non le nega al buon senso km0: una raspadura di almendra (mandorle grattugiate e unite con una specie di caramello in un cerchio di foglia) vi darà calorie per un giorno intero.

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Verdura? Tanti pisellini sotto il materasso. Uno su tutti: i ragazzi che smettono di studiare nelle ottime scuole gratuite per fare i camerieri o lavorare in qualche resort, dopotutto guadagnano in un giorno quello che un chirurgo (che a Cuba ha qualità professionali superiori alla media mondiale) guadagna in un mese. Ci dovrebbero pensare un po’ tutti, mi sa, anche solo ricordando che siamo nel paese di Josè Marti, un padre della patria, quello dei versos sencillos che sono serviti per far cantare a tutti Guantanamera, e che ebbe a dire “ser culto es el único modo de ser libre”. E non parlava di drink bugiardi.
A Cuba la libertà può costare più che altrove. Anche in futuro. Le multinazionali sono vendicative. Chissà: riusciranno a non far aprire il primo mcdonald nella piazza della Rivoluzione dell’Havana o a non costruire villette a schiera in multiproprietà (per rispetto parziale del comunismo naturalmente…) accanto al mausoleo del Che a Santa Clara? Chi glielo va a dire che internet-tablet-hamburger potrebbero allargare i confini di una Guantanamo culturale?

Un augurio a voi di andare a Cuba subitosto immediapresto, un augurio a Cuba che resti Cuba: buon cibo per la mente, al popolo Cubano che resti Cubano, un augurio a tutti i popoli Cubani della terra che ricordino chi sono e da dove vengono.
Auguri a tutti, anche se la stagione degli Auguri sarà fra un po’, ma gli auguri si fanno soprattutto quando servono. E ora servono.

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L’isola che forse c’è forse non c’è per me è un pensiero felice fatto di tempo passato, di famiglia e amici. E voi, che pensiero felice avete? Hop-la! volate via dalla sedia a dondolo verso…

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