Panni stesi e storie incompiute: ecco il progetto di Francesca Bernabei

Può capitare, camminando, di sentirsi come dentro a un particolare stato di grazia. Di farsi attraversare, senza resistenze, dalle vite degli altri, dalle tracce del loro abitare un luogo. Succede quando ci si mette in ascolto e si alza un po’ la testa, fino a incontrare con gli occhi l’intimità esposta di pochi panni stesi. Segni, spodorati e bellissimi, di presenze che possono essere accolte, nel loro mistero. E restituite.
È questo che Francesca Bernabei – emiliana di nascita e lucchese per scelta – ha iniziato a fare circa 10 anni fa, fotografando lenzuola, jeans, canottiere e calzini al vento. Colori su intonaci non conosciuti, forme che svelano corpi che non sono lì. Linguaggi senza parole. Siamo agli albori del fenomeno social, e così accade che Francesca condivida, di tanto in tanto, qualche scatto. E succede pure che altre persone, come contagiate, facciano altrettanto. Ma le immagini – che negli anni diventano molte, testimonianze sincere di vite ignote, dal Madagascar a Napoli – senza parole non ci sanno stare. Non per Francesca, almeno. E così, delicati e un po’ timidi come le margherite di maggio, sono spuntati alcuni racconti. Storie minime, tutte in terza persona, rigorosamente Nei panni degli altri.
È questo il titolo del progetto che da mercoledì (20 marzo) alle 18,30 scalderà, per un mese esatto, le pareti dell’enoteca Stravinsky di via Elisa. “È un luogo dove io sto bene, dove le persone stanno bene, dove si respira una gentilezza rara, quasi di un’altra epoca”, commenta Francesca Bernabei, che aggiunge: “Roman e Vladimir, i due titolari, hanno saputo portare in questa città un locale dagli accenti internazionali. L’ho sentito subito come naturalmente perfetto per custodire i miei scatti, e quelli degli amici che hanno contribuito al progetto. Ma soprattutto – aggiunge – lo Stravinsky è un luogo di conversazione: i miei racconti non finiti, qui, sono a casa”. Sì, perché le storie di Francesca nascono incompiute.
“D’altronde – spiega l’autrice – possiamo metterci ‘nei panni degli altri’ solo fino a un certo punto. C’è una soglia oltre la quale non può arrivare nemmeno la penna. Al di là di ogni patto di finzione col lettore, scrivendo io scelgo di fermarmi prima”. Ci sono Arianna, e Amalia, Matteo e Giovanna, Giulia e Andrea; la signora Nina, Marco e Giada, Giorgio. Nomi e vestiti, vissuti e dialoghi – acchiappati al volo e poi appesi, trattenuti con discrezione da quelle mollette per il bucato che sono le parole scelte senza nessuna fretta. Saranno le attrici Barbara Puppa e Rebecca Moutier a leggere ad alta voce, alle 19,15 di mercoledì, alcuni racconti di Francesca Bernabei. Ad accompagnarle, le note preziose della violista Giulia Panchieri. E su Spotify è già disponibile una playlist, in divenire, del progetto Nei panni degli altri.
Così come c’è, da qualche giorno, una pagina Facebook tutta dedicata a quest’idea che, per sua natura, è aperta alla contaminazione tra sensibilità diverse e, proprio per questo, in potenza complementari. “Tutti, ormai, abbiamo possibilità di scattare foto con il cellulare: sarò felice di ricevere e condividere ancora immagini di panni stesi. Tra l’altro – osserva Francesca – sarà sempre più difficile vederne. In molti condomìni, ormai, si fa divieto di asciugare i panni da finestre di facciata. I vestiti bagnati sono diventati un segreto al massimo da cortile interno”. Qualcosa che può esporsi, e ritrovarsi, giusto nella forma breve del racconto: “È un genere asciutto, connaturato alla contemporaneità, a un presente che va di fretta”, commenta Francesca, e lo fa senza alcun giudizio.
È vero, siamo sempre più distratti. Accelerati, travolti. Ma ancora in grado di riconoscere quello stato di grazia della fantasia che ci viene incontro quando ci permettiamo di alzare lo sguardo. Camminando, in un giorno qualsiasi.
Per informazioni e curiosità, www.neipannideglialtri.it
Nei panni degli altri, la nascita del progetto – Video
Elisa Tambellini