Andrea Lanfri conquista anche la vetta dell’Aconcagua

Con la montagna dell’America del sud in tasca all’alpinista lucchese mancano solo tre cime per completare il suo progetto Seven Summits
Andrea Lanfri ce l’ha fatta: ha conquistato anche la vetta dell’Aconcagua.
Colpito da una meningite con sepsi meningococcica l’alpinista lucchese vive oggi inseguendo il suo desiderio di vita. Quello che l’ha portato a essere il primo atleta con pluri-amputazioni a raggiungere la vetta dell’Everest, il 13 maggio 2022, lo stesso desiderio di vita che oggi lo accompagna in sfide sempre più impegnative. Tra i suoi ambizioni progetti la salita delle Seven Summits, le sette vette più alte di ogni continente, in cui rientra l’Aconcagua che rappresenta il quarto tassello di questa nuova sfida. Se Andrea dovesse riuscire a completare tutte le salite sarebbe il primo pluri-amputato a collezionare le Seven Summits. Oltre alla cima dell’Aconcagua, fanno parte del suo palmarès il Monte Bianco, salito nell’estate 2020, l’Everest e il Kilimangiaro, saliti nel 2022.





Completata la fase di acclimatazione Andrea si è subito preparato per poter sfruttare al meglio la prima finestra meteo disponibile, che si è presentata verso la metà di gennaio. Così, il 14 gennaio, Andrea ha lasciato il campo base di Plaza de Mulas e si è incamminato lungo la Ruta Normal de Los Pioneros, il percorso più conosciuto e battuto per raggiungere la vetta della montagna più alta del sud America. Lo stesso giorno ha raggiunto campo 2, mentre il successivo ha continuato fino al terzo per poi tentare la vetta il 16 gennaio. Una giornata lunghissima in cui, per molte ore, si sono persi i contatti con Andrea e con il suo navigatore satellitare fermo a quota 6745 metri per sette lunghe ore.
“Sbadatamente l’ho messo nella tasca superiore dello zaino durante la salita e devo averlo perso – ha spiegato Andrea dopo essere rientrato al campo base. Sono andato in cima, faceva un freddo allucinante”. Temperature basse che hanno avuto come conseguenza dei congelamenti leggeri alle dita delle mani. “Non sono riuscito a fare foto”, il commento amaro di Andrea mentre ancora cercava di recuperare a campo base. “Tra qualche giorno danno una nuova finestra, provo a tornare su”. Non ce ne sarebbe stato bisogno, nessuno ha mai messo in dubbio le parole di Andrea. “Non voglio che ci siano dubbi su questa salita”.
Così sabato 21 gennaio, otto anni dopo essere stato ricoverato in ospedale con la diagnosi di meningite con sepsi meningococcica sfociata poi nell’amputazione di entrambe le gambe e di sette dita delle mani, Andrea ha preso il suo zaino e ha ricominciato a salire sulla montagna. “Non potevo festeggiare questo anniversario in modo migliore, se non ri-scalando la vetta più alta del sud America”. Il primo giorno ha raggiunto campo 2, a circa 5600 metri, dopo aver superato in giornata 1200 metri di dislivello positivo. Domenica 22 gennaio è invece iniziata con una sveglia alle 3 del mattino, con davanti un dislivello di 1600 metri fino alla vetta. “Ho impiegato 7 ore per completare la salita e ritrovarmi al fianco della croce a 6961 metri di quota”. Una pausa per riprendersi, per tirare fuori l’action cam e scattare una moltitudine di foto. Poi giù, rapido fino alla tenda di campo 2 dove ha passato la notte per poi completare la discesa al mattino. “Che fatica, grazie Argentina”.
Con l’Aconcagua in tasca ad Andrea mancano solo più tre cime per completare il suo progetto Seven Summits: Denali, per il nord America; Monte Vinson, per l’Antartide; e Puncak Jaya o Monte Kosciuszko, per l’Oceania.
Il racconto di Andrea Lanfri
“Non appena il meteo me lo ha permesso, ho messo in atto ciò che stavo organizzando da giorni e giorni chiuso in tenda aspettando il momento giusto per la salita – ha raccontato Lanfri -. Quando è venuto il momento di mettersi in marcia dal Campo Base a C2 mi è venuto da sorridere. Ho iniziato l’ascesa in due step il 21 gennaio, ed esattamente 8 anni prima venivo ricoverato in ospedale per via delle meningite. Non potevo festeggiare questo anniversario in modo migliore se non scalando la vetta più alta dell’America del Sud; la meningite mi ha solo dato la voglia di andare avanti, anzi, in alto. La salita in due giorni è decisamente lunga. Però avendo già portato su tanto materiale durante la fase di acclimatamento, sono riuscito ad ascendere abbastanza scarico 1200 metri circa di dislivello in poco meno di 5 ore da CB a C2 (5600 metri sopra il livello del mare) sveglia alle 3 e via si riparte”.
“La partenza da C2 è stata un’esperienza unica e che ancora non mi era capitata – prosegue Lanfri -: ero totalmente solo, circondato dal buio della notte con la luna che faceva brillare la neve sotto i ramponi. Solo dopo 4 ore di cammino sono riuscito a intravedere qualche bagliore dei frontalini di altri alpinisti che però salivano dal C3 verso la vetta. Arrivato in cresta, sembra che sia tutto fatto, vedo la vetta che è proprio lì. Ma ahimè sembra di camminare sul tapis roulant, non arriva più. Insomma, testa bassa e in marcia. Dopo altre 3 ore di cammino riesco finalmente a toccare la croce. Ci sono riuscito. Per me è stata una delle cose più emozionanti soprattutto per l’anniversario particolare ma anche perché è stato un test impegnativo per quello che mi ero allenato: 23 gennaio vetta 1600 metri di salita attiva in alta quota, 14 ore totali da C2 per la vetta. Muchas gracias Argentina”.