Il lucchese Renato Roffi ricorda Gigi Riva: “Era unico, mi ha insegnato l’umiltà”
Hanno giocato insieme a Cagliari. Il ricordo tra curiosità e aneddoti: “Durante gli allenamenti voleva sempre vincere la partitella, se no si arrabbiava”
Un giocatore unico, il bomber azzurro più grande di tutti i tempi. Lunedì (22 gennaio) se ne è andato Gigi Riva, il miglior marcatore della storia della nazionale italiana (35 gol in 42 presenze) e indimenticabile giocatore del Cagliari, squadra con cui ha vinto uno storico scudetto. C’è anche un lucchese che avuto l’onore di giocare con Rombo di Tuono: si tratta di Renato Roffi, ex calciatore che ha indossato la maglia del Cagliari per 11 stagioni.
“Gigi Riva è stato unico, sia come persona che come giocatore – racconta Roffi -. Purtroppo tanti giovani non l’hanno mai visto giocare in campo, ma era una persona eccezionale. Era chiuso perché ha avuto un’infanzia difficile, poi si è trasferito a Cagliari e da lì non si è più mosso. C’è stato un anno in cui la Juventus gli voleva dare tantissimi solidi, ma lui è voluto rimanere in Sardegna. Era una persona chiusa, ma socievole quando era insieme a noi. Durante gli allenamenti voleva sempre vincere la partitella, se no si arrabbiava. Qualche aneddoto? Lui fumava tanto. Una sera, quando eravamo in ritiro, lui (Riva ndr), Niccolai, Albertosi e Domenghini giocavano a carte. Io guardavo e c’era la stanza piena di fumo, una nebbia. Ad un certo punto, intorno a mezzanotte, abbiamo sentito bussare alla porta: era il mister. Lui entrò dentro, alzò la testa e fece: ‘Scusate, se accendo una sigaretta do noia?‘. Riva andava alle 2,30 allo stadio, prendeva i palloni e si metteva a tirare in porta. Gigi Riva mi ha insegnato l’umiltà: a noi giovani ci parlava e ci diceva ‘non avete ancora fatto niente. Cercate in prima squadra, starci degli anni, ma rimanendo sempre umili’. Giocatori, o meglio, bomber come lui non esistono più. In campo era spettacolare. Mi ha lasciato un vuoto: quando ho appreso della sua morte mi sono scese delle lacrime, per me era una persona bravissima”.
“Io sono arrivato a Cagliari un anno prima dello scudetto, avevo 16 anni – prosegue Roffi -. Mi videro giocare un torneo notturno a Pisa, c’era un osservatore del Cagliari in vacanza. A quel tempo per andare in Sardegna servivano 3 ore e mio padre prese tempo per pensarci. Io però volevo andare: ero coccolato qui a Lucca, ma volevo tentare questa avventura. Tra qualche pianto decisi di partire e lì ho fatto tutta la primavera, il torneo di Viareggio e il 14 novembre 1971, a 20 anni, feci il mio esordio in prima squadra a San Siro contro il Milan. Il mister mi convocò per andare in panchina: la mia speranza era che non si facesse male nessuno (dice ridendo ndr). Poi però Domenghini si fece male nell’ultimo minuto del primo tempo e il mister mi fece entrare in campo e mi disse di stare su Benetti. Ebbi la fortuna di fare una partita discreta, facemmo 0-0 e fu bello la domenica ritornate a Lucca in aereo con mio padre che piangeva. Poi sono stato a Cagliari fino al 1980, quando mi venne un’infezione al rene. Grazie a tanti antibiotici dopo 6 mesi sono riuscito a tornare a giocare a calcio andando poi in serie B con il Pistoia, ma poco dopo mi sono rotta la gamba. Lì è cessata la mia carriera e ho iniziato ad allenare”.