Il vescovo: “Viareggio ha reagito a sua via Crucis”

7 aprile 2017 | 20:30
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Il vescovo: “Viareggio ha reagito a sua via Crucis”

Il riferimento al dolore per le vittime della strage di Viareggio come emblema di una Via Crucis che la città ha vissuto nel suo stesso quotidiano. E dall’altro lato la voglia di reagire dettata dall’amore, come quello dei maestri carristi in grado di plasmare, con la loro passione, la cartapesta. Sono temi toccati nell’omelia della via Crucis svoltasi alla Cittadella del Carnevale di Viareggio, dall’arcivescovo Italo Castellani, presente alla cerimonia religiosa. Parole toccanti che pubblichiamo di seguito integralmente.

“In questi ultimi anni la Via Crucis cittadina è passata là dove l’umanità viareggina quotidianamente vive, lavora, soffre e spera.
Alla luce del cammino di gioia, sofferenza e morte di Gesù, vissuto all’orizzonte della Risurrezione, ha ripercorso i luoghi della storia e vita di Viareggio, quali: la strage del treno, facendo tappa in via Ponchielli; i luoghi quotidiani di sofferenza (mensa della carità, poveri vecchi, misericordia); i luoghi della strada segnati da incidenti o morti violente.
Quest’anno si è appena svolta in questa meravigliosa cornice della Cittadella del Carnevale, luogo simbolo della nostra Città: luogo di lavoro, creatività, festa, incontro, e di elaborazione di ‘valori’. Si i carri, ogni anno, ma particolarmente quest’anno hanno offerto messaggi che esaltano la vita dell’umanità in tutte le sue espressioni: Pace e violenza, potere e servizio, bellezza del creato, lavoro, economia, umanità.
Questi temi mi hanno particolarmente colpito: vi ho come visto riscritte con il linguaggio proprio dell’arte della cartapesta –e ringrazio i Carristi veri ‘Maestri della Cartapesta’– alcune pagine di Vangelo. Il libretto che ci ha accompagnato nel nostro percorso ha già ben messo in evidenza e sottolineato come la passione –la ricerca di senso della vita e la sofferenza dell’uomo– in tutte le sue espressioni e contraddizioni quotidiane è stata vissuta e assunta da Gesù, il Dio con noi: che per amore, solo per amore, si è fatto uno di noi e per noi ha dato la vita.
Ripercorriamo ancora solo qualche tratto del cammino che esprime ‘la passione di Dio per l’uomo’, ‘l’amore di Dio per l’uomo’, sua creatura.
Abbiamo ascoltato dal Vangelo il grido della folla che decreta la condanna a morte di Gesù: “Crocifiggilo, crocifiggilo”!
Nel leggere questa pagina di Vangelo, mi colpisce sempre profondamente la forza distruttiva di questo grido: “Crocifiggilo!”
È enorme la distanza tra la folla che grida e Gesù; tra la bestiale violenza gridata dalla moltitudine e il silenzio pieno di coraggio di questo Dio immensamente piccolo, fattosi ultimo tra gli uomini per poterli accogliere tutti, tutti sollevare fino alla natura di Dio.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” –  si eleva quando ci uniamo alla “folla” e il pensiero diventa ‘opinione comune’, ‘populismo’ –la paura e il malessere diventano l’origine dei nostri giudizi e delle nostre scelte, i nostri comportamenti diventano violenti e il nostro agire diventa spietato– senza che il messaggio del Vangelo illumini la vita di ogni giorno.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – si rinnova tra noi ogni volta che per opera delle nostre mani e dei nostri cuori, si annidano e prendono forma sentimenti di odio, rancore, vendetta verso il proprio fratello.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – risuona oggi nelle strade insanguinate della Siria e dei paesi in conflitto, ove all’attacco con armi chimiche si risponde cercando la pace con l’attacco missilistico, con l’antica misura “dell’occhio per occhio, dente per dente”. Il grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – di fatto risuona sull’inaccettabile scandalo dei corpi delle vittime innocenti, dei bambini, delle donne e degli uomini sacrificati all’idolo delle ragioni del potere, della dominazione, della sopraffazione.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – lo ripete l’uomo di oggi ogni volta che decretiamo la morte del creato, il giardino che Dio ha affidato alla cura dell’uomo: ogni qualvolta lo sfrutta oltre ogni misura, lo avvelena con l’inquinamento per l’insaziabile avidità e lo rende invivibile provocando irrimediabili danni  alla Madre Terra.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – si eleva ancora ogni volta che le politiche scellerate di pochi  mettono in pericolo la vita di tutti, soprattutto delle porzioni di umanità più fragili, indifese e povere e ogni volta questo accade nell’indifferenza.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – si rinnova ogni volta che assistiamo impauriti al dramma della migrazione dei popoli, finanche condividendo l’innalzamento di muri sempre più alti e lo srotolamento del ‘filo spinato’ che divide nazioni da nazioni, fratelli dai fratelli, chiudendoci nella paura e nella difesa dei confini.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – è decretato man mano che il mare mediterraneo inghiotte bambini, donne e adulti che fuggono dalla guerra e dalla fame, e continua a trasformarsi in un grande cimitero invisibile e dimenticato, ma il nostro cuore non si apre, le nostre comunità non fanno spazio.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – si eleva quando le quotidiane violenze, in particolare la violenza sulle donne e sui bambini, fino al femminicidio e agli abusi diventano una cifra della vita quotidiana sia delle grandi città sia dei nostri piccoli paesi e, a volte delle nostre stesse case.
Questo stesso grido – “Crocifiggilo, crocifiggilo” – risuona in fondo alla nostra “anima” quando la vita con le sue asprezze e ferite ci conduce lontano da noi, sino ai margini, alla soglia dell’infelicità e tutto sembra crollare; e, in quel momento, non c’è un ‘cireneo’–un familiare,  un vicino, un collega di lavoro…– che si accorge della nostra solitudine e del nostro grido.
Fuori del clamore del grido della folla, del silenzio di Dio trova un luogo di pace di accoglienza incondizionata tutto il dolore, la solitudine, l’impotenza, la paura, il fallimento che anche nel nostro quotidiano può manifestarsi.
Dio è lì. Non si spaventa. Non abbandona le nostre vite. Non si scandalizza. Non volta le spalle. Prende su di sé quel dolore, quel fallimento, quella paura e ci accoglie, rimanendo in piedi, con fermezza davanti alla bestialità che condanna e uccide.
Il mondo, è anche oggi in preda al dolore, al lutto: lo constatiamo tutti i giorni.
Che fare? Far finta di non vedere? Cambiare incuranti strada? Scappare, ma dove? Rassegnarci?…
Celebrando la memoria della “Via della Croce” noi cristiani possiamo dire di no e trovare il senso ultimo del nostro abitare la Terra.
La passione di Cristo –che è la passione dell’uomo– ci provoca e ci spinge come cristiani e come uomini di buona volontà a prendere posizione.
Condividiamo in questa serata così bella un’ineludibile domanda e una rinnovata provocazione: cos’è ‘la fede pasquale’ di noi cristiani –l’annuncio che Cristo è Risorto– se prendiamo le distanze dalla realtà che ci circonda, se non ci facciamo “cirenei” delle croci dei fratelli e delle sorelle, della loro fame d’amore?
La risposta è semplice: noi cristiani non siamo più in relazione con il Vangelo, con Gesù Cristo Vangelo di Dio, il Risorto, se facciamo questo. Se allontaniamo la nostra esperienza di fede dalla nostra esperienza di umanità.
La morte di Gesù –il percorso di passione di cui abbiamo appena fatto memoria– ci riconduce al cuore della nostra fede, affrontando il paradosso dei paradossi: Dio stesso ha affrontato la violenza degli uomini, la follia del loro giudizio di morte.
Dio da parte sua –nella persona del Figlio, Gesù di Nazareth– entra dentro questa violenza la affronta e la spenge! Come? Con l’Amore e il Perdono!
La Via Crucis del Venerdì Santo in questo senso è memoria di un avvenimento storico, non una favola di altri tempi, che ha cambiato il corso della storia umana ed è una memoria che ci spinge sulle strade dell’oggi, propone sempre nuova domanda di giustizia, di misericordia, di responsabilità, di amore incondizionato alle nostre vite.
Noi ne siamo capaci. La storia della Pasqua ce lo racconta. Il sacrificio senza condizione di Gesù ce ne ha resi capaci.
Questa è la strada, carissimi Viareggini, che la Via Crucis di questa sera ci riaffida a livello personale e sociale. Non c’è altra strada che salva l‘uomo: la nostra persona, la nostra famiglia, la nostra società, l’umanità.
Non c’è altra strada che vince la morte, ogni forma di morte, oltre la nostra morte personale.
Una sola strada esiste, una sola strada può essere percorsa: la strada della Croce. L’amore senza condizioni. Le nostre braccia spalancate.
Il Venerdì Santo –che questa sera abbiamo anticipato– per noi cristiani è inseparabile dalla mattina di Pasqua, il mattino della Risurrezione: Cristo è Risorto! Ha vinto una volta per sempre il male e il male dei mali per l’uomo che è la morte e ogni morte.
La ‘guerra delle guerre’ –ovvero la sconfitta di ogni male e di ogni morte, oltreché la morte personale– è già stata vinta una volta per sempre dal Risorto. A noi –con questa speranza che non delude perché è di Dio– è chiesto di partecipare alle ‘battaglie quotidiane’ con l’unica arma vincente dell’Amore sulle orme del Maestro che passa sanando e benedicendo “tutti coloro che incontrava” (cf Mc 5, 21-43). Buona Pasqua”.