Del Ghingaro: “Sanità territoriale, la riforma non può più aspettare”

25 novembre 2022 | 10:44
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Del Ghingaro: “Sanità territoriale, la riforma non può più aspettare”

Il sindaco di Viareggio: “Per risolvere i problemi e alleggerire gli ospedali è necessario integrare e implementare i servizi sul territorio”

“La riorganizzazione della medicina territoriale è una delle prime sfide da affrontare per dare risposte ai cittadini: l’abbattimento delle liste di attesa, l’accesso ai servizi e ai farmaci sono solo alcune delle criticità che possono essere affrontate per alleggerire il sovraffollamento degli ospedali. Abbiamo a disposizione le risorse economiche, circa 7 miliardi di euro, del Pnrr: un’opportunità importante per consentire l’avvio di una riforma del sistema salute con radici ben salde sul territorio che, tuttavia, sembra non essere colta dalla Regione Toscana”. E’ il monito del sindaco di Viareggio, Giorgio Del Ghingaro, sulla sanità locale.

“Le strutture che compongono la rete dei servizi territoriali; gli standard in rapporto alla popolazione; i parametri di riferimento del personale; le modalità organizzative e funzionali; gli obiettivi strategici di riferimento, la governance del sistema: rappresentano – afferma –  la premessa ed il punto di partenza di una riforma dell’assistenza territoriale che definisca al proprio interno un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza primaria. In questo modo si potranno individuare standard tecnologici e organizzativi uniformi e si riuscirà a promuovere un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione,  in ambito sanitario ambientale e climatico. Non esiste lavoro territoriale sui bisogni complessi di salute e di assistenza senza l’integrazione strutturale tra sanitario, sociosanitario e sociale. Senza il concreto intreccio tra territorio ed ospedale non si riusciranno mai a sostenere le multipatologie croniche che stanno facendo saltare il sistema, rimasto fermo a modalità vecchie di 30 anni. Il sistema sanitario nazionale, infatti, sta attraversando una delicatissima fase di passaggio che rischia di mettere a rischio sia la tenuta dei servizi nel breve periodo sia la sua stessa identità, nel medio-lungo termine”.

“Durante la pandemia – sottolinea Del Ghingaro – è stato elevatissimo il valore attribuito alle organizzazioni della sanità e agli operatori che, oltre a garantire la cura delle persone, hanno contribuito in maniera decisiva a tenere in piedi il Paese: oggi, a distanza di due anni, quello stesso Sistema Sanitario si trova ad affrontare i problemi già presenti nel pre-pandemia, ma acuiti dal peso dell’enorme pressione sopportata. A questo vanno aggiunte nuove condizioni generali negative date dai conflitti in atto, dall’aumento dei costi per l’energia, dalla ripresa dell’inflazione. La discussione, in ambito nazionale, si sta concentrando su alcuni temi molto definiti, come il rapporto tra i servizi da assicurare – con la loro qualità, appropriatezza, efficacia, estensione, diffusione, accessibilità – e la dotazione del personale pubblico. L’accesso dei cittadini ai servizi, con i sistemi regionali che faticano a riassorbire i ritardi accumulati durante la pandemia, con i tempi di attesa che restano lunghi, e che magicamente si comprimono quando si ricorre al regime dell’intramoenia”.

“Il finanziamento pubblico, che in Italia è più basso di molti altri Paesi europei, alcuni tetti di erogazione sono fermi a parametri vecchi di molti anni; di recente la pandemia ha costretto a finanziamenti straordinari, ma gran parte del peso finale dell’emergenza è stato ricondotto nei bilanci correnti delle aziende sanitarie e delle regioni – prosegue Del Ghingaro -. Tuttavia è ormai chiaro che alzare il finanziamento, ancorché necessario, non è sufficiente per un serio miglioramento del sistema sanitario nazionale e dei singoli sistemi regionali. Per raggiungere i livelli essenziali di assistenza occorre un’operazione più complessa ed evolutiva, che superi in meglio quella esistente. Un salto organizzativo decisivo, altrimenti ogni aumento di spesa o di dotazione sarà riassorbito in pochissimo tempo dalla inadeguatezza del sistema complessivo. Il problema è quanto mai evidente sul nostro territorio: durante la pandemia in Toscana è stato assunto personale e sostenuto un finanziamento molto alto, eppure i risultati non sono quelli assicurati”.

“Com’è noto l’attuale sistema sanitario toscano – prosegue – si basa su tre grandi aziende dimensionate sull’ordine del milione di assistiti: una complessità che non ha niente a che vedere con l’assetto precedente che vedeva invece il territorio diviso in 12 Asl. Così da un lato si avverte con estrema evidenza la fatica che sta facendo l’organizzazione sanitaria a interpretare con efficacia queste nuove dimensioni, mentre continua a pensare le proprie strutture e il proprio funzionamento su una improbabile e ormai impossibile base provinciale. Dall’altro lato i singoli territori si sentono molto più lontani di prima dai centri decisionali: non una lontananza solo fisica ma soprattutto strutturale, per una incerta e timida costruzione delle reti ospedaliere e delle reti territoriali. Il modello organizzativo disegnato ruota intorno al distretto sanitario che costituisce il centro di riferimento per l’accesso a tutti i servizi delle Asl e che, a mio avviso, deve rappresentare il baricentro e il motore per l’assistenza territoriale quale “struttura pubblica forte” che coordina strutture e professionisti sanitari e sociali. Creare le reti ospedaliere in ogni ‘Asl di Area Vasta’, non significa collegare semplicemente i presidi ospedalieri tra loro, rendendo mobili gli assistiti all’interno dell’Area (soprattutto per le prestazioni specialistiche); significa ottimizzare la rete tra i presidi rispetto alle loro comunità di riferimento, locali, provinciali o di area vasta. Si tratta di un processo completamente diverso. Il punto centrale è questo: ai bisogni complessi occorre dare risposte altrettanto complesse, ma soprattutto appropriate. Il sistema toscano offre prestazioni sanitarie anche di altissimo livello tecnico-professionale, ma non riesce a trovare la strada per organizzare i processi integrati di salute e assistenza. La riforma del sistema sanitario della Toscana, con la fase più delicata della formazione delle tre grandi asl d’area vasta, deve essere manutenuta e sviluppata: è necessario trovare il coraggio e la competenza per farlo quanto prima, perché secondo me il tempo è scaduto e si rischia il tracollo. Non servono né consueti pensieri accademici o speculativi, né richiami al sano pragmatismo immediato: serve un pensiero nuovo capace di guardare ai prossimi venti o trenta anni con realismo e visione d’insieme”.